Israele 1972 - Bruxelles 2016
La catena di attacchi a Parigi, San Bernardino, Istanbul, Costa d’Avorio, Bruxelles e in Israele è un assalto continuo a tutti noi”, ha detto il premier israeliano Netanyahu. “In tutti questi casi i terroristi non hanno lamentele risolvibili. Non possiamo offrire loro Bruxelles, Istanbul, la California, o la Cisgiordania. Cercano la nostra distruzione e il loro dominio totale. Dovremmo semplicemente scomparire. Beh, amici miei, questo non accadrà. Ecco come faremo a sconfiggere il terrorismo, con l’unità politica e la chiarezza morale”. Unità politica e chiarezza morale abbondano a Gerusalemme, ma scarseggiano a Bruxelles. Martedì, la rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, ha pianto in televisione. Il nostro mondo è migliore del loro anche perché sappiamo commuoverci di fronte a un salasso di innocenti. Ma a un leader politico, di fronte al jihad sferrato nel cuore dell’Europa, serve ben altro che le lacrime. Serve ascoltare Netanyahu. Con la sua hutzpah, la faccia tosta ebraica, Bibi ha spiegato che il mondo civile non sfamerà il coccodrillo islamista con l’appeasement. La guerra santa, combattuta all’aeroporto di Zaventem come alla stazione dei bus di Gerusalemme, si fermerà soltanto con la liquidazione degli “infedeli”. Purtroppo la recente storia politica europea è invece piena di tentativi di sfamare il coccodrillo.
Cominciò Lady Ashton, che accostò la strage dei bambini ebrei a Tolosa agli attacchi israeliani a Gaza, con gran felicità postuma di Merah. Il presidente francese, François Hollande, dopo il 13 novembre ha cassato Gerusalemme dalla lista delle città colpite dal jihad. Nel 2013, la Francia è entrata in guerra in Mali: Hollande disse che “non si può avere uno stato terrorista alle porte dell’Europa”. Distanza fra Bamako e Parigi? 6.266 chilometri. Quando Israele si difende dai missili da Gaza, in Europa si denuncia “l’aggressione israeliana”. Distanza fra Gaza e Israele? Un chilometro. Basta ipocrisie. Basta lacrime. Il terrorismo islamista non distingue fra la metro di Bruxelles e il tram di Gerusalemme. Inoltre, Israele può insegnare molto a Bruxelles perché ha già vissuto quelle stesse immagini. Accadde nel 1972, quando all’aeroporto di Tel Aviv una banda di kamikaze sparò all’impazzata sulla folla, facendo 24 morti, prima di suicidarsi, tranne uno, una specie di Salah Abdeslam. Ma allora il Belgio, come abbiamo spiegato sul Foglio, era impegnato a stringere un patto con i sauditi e Israele andava sacrificato. Due mesi dopo l’aeroporto ci fu, infatti, la mattanza olimpica a Monaco, segnale verde delle stragi future. Si arriva all’abbandono degli ebrei sugli autobus durante l’Intifada. Non sarebbe meglio considerare la piccola guarnigione ebraica come parte dell’Europa?