Tra virgolette - Le Figaro
Molenbeek, Mosul d'Europa
L’intellò francese Pascal Bruckner sulla “Mosul europea” che si ribella al diritto e su Merkel “utile idiota”. La profezia (provocatoria) di Zemmour e le nostre élite cieche e sorde al jihad.
Roma. “L’islam radicale sta esportando la sua sporca guerra in tutto il mondo. Dalla California alla Cina, passando per i paesi dell’Africa occidentale. La sua follia mortifera si vuole imporre a tutti gli esseri umani. E’ una guerra mondiale, seppure un po’ particolare”, quella che ha colpito da ultimo “la capitale europea”. Così il filosofo Pascal Bruckner, intervistato ieri dal quotidiano francese Le Figaro, ha commentato gli attentati multipli che hanno investito Bruxelles martedì scorso. L’autore del “Singhiozzo dell’uomo bianco”, libro pubblicato per la prima volta nel 1983, ha molto da dire sull’atteggiamento degli occidentali, “incapaci di pensare” a una guerra totale “di cui le prime vittime sono i civili, tutti colpevoli per il solo fatto di esistere”. “Noi ripetiamo che non bisogna fare confusione con l’islam intero, senza comprendere che i jihadisti rivendicano loro stessi il fatto di essere dei veri musulmani. Gli altri, la grande maggioranza, sono rigettati da questi fanatici nelle tenebre della miscredenza. Questi soldati dell’Apocalisse sono innanzitutto dei credenti, e noi dobbiamo considerarli come tali”.
Intervenendo sul Figaro, Bruckner dice in particolare di essere stato colpito dall’accoglienza infastidita e violenta che i residenti di Molenbeek hanno riservato venerdì scorso a militari e polizia che arrestavano il terrorista Salah Abdeslam. “Sono gesti rari nel nostro continente. Molenbeek è diventata una sorta di striscia di Gaza, di Mosul, all’interno dell’Europa. Éric Zemmour, in un intervento volutamente provocatorio, aveva detto una volta con tono umoristico: ‘Non è Raqqa che bisogna bombardare, ma Molenbeek’. Senza arrivare fino a quel punto – continua il filosofo – occorre per certo bonificare quel quartiere. La verità è crudele: gli eletti di destra come quelli di sinistra, in Belgio come in Francia, attraverso sistemi clientelari hanno negoziato con le associazioni culturali, gli imam e i capipopolo. Hanno lasciato che si costituissero non tanto delle zone di non-diritto, quanto delle zone dove vige un altro diritto, un mix di sharia e codice d’onore”. Il quotidiano chiede a Bruckner se gli imponenti flussi migratori da paesi islamici possano aggravare la situazione in qualche modo. Risposta: “Lo Stato islamico dice esplicitamente di approfittarsi dei rifugiati in movimento per infiltrare dei militanti. Anche se si tratta di una percentuale infima, le conseguenze possono essere mostruose. La generosità ostentata della signora Merkel permetterà senza dubbio a degli assassini di insediarsi nei nostri paesi per preparare tranquillamente i propri attacchi. La cancelliera gioca, malgré soi, il ruolo di utile idiota del terrorismo”.
Le democrazie contemporanee possono sopravvivere a questa nuova normalità? “Le democrazie sono, per loro natura, inermi di fronte alla barbarie. Esse pensano che la storia sia finita, che le religioni siano un reperto della preistoria e la nazione una forma desueta di comunità umana. Il solo orizzonte ideale era la fine delle frontiere, la distruzione dei muri affinché gli uomini e le donne fossero riuniti in un’unica famiglia. Ecco l’utopia europea, e l’11 settembre non ha cambiato nulla. Dopo vent’anni tutti i nostri bilanci delle forze militari del continente sono diminuiti. Siamo portati a opporre tutta una serie di spiegazioni sociologiche e geopolitiche per rassicurare noi stessi a fronte del tentativo di islamizzare il mondo. Le nostre élite preferiscono non vedere, non sentire, continuare a trattare il pericolo terrorista come un mito. Ci si chiede: ‘Che cosa abbiamo potuto fargli di male per farci odiare così tanto?’. La verità che non vogliamo affrontare è scandalosa: ci odiano per quello che siamo. Liberi, amanti della vita, del rispetto del diritto e dello spirito critico. Voilà il nostro crimine”, conclude Bruckner.
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