La sinistra-sinistra evapora alla prova del terrorismo
La sinistra antirenziana si è trovata (non tutta naturalmente perché i dissidi interni restano irrisolti) ad ascoltare Yanis Varoufakis, l’ex ministro greco delle Finanze che ha portato il suo paese sull’orlo del fallimento. L’obiettivo indicato da Varoufakis è un’Europa “integralmente democratica” per il 2025. Nel frattempo tiene conferenze in cui illustra le nefandezze dell’eurocrazia, senza però spiegare in che modo cambiarla. Ma di questo alla sinistra-sinistra non importa un granché. L’importante è essere “contro” anche se non si sa bene contro chi e perché. In questo modo si dà uno sbocco, seppure a vocazione minoritaria, a una tradizione di opposizione che ha radici antiche e profonde.
Anche quando per caso si trova a governare, la sinistra-sinistra fa il possibile per farsi espellere: lo fece Fausto Bertinotti, per due volte, con Romano Prodi, lo ha fatto Varoufakis, scaricato da Alexis Tsipras. Anche quando dispone di un consistente peculio elettorale, la sinistra sembra riluttante ad assumersi responsabilità di governo. E’ il caso di Podemos, la formazione degli “indignados” spagnoli, che pur proponendo un governo con i socialisti (ma senza i centristi di Ciudadanos alleati del Psoe, indispensabili per fare maggioranza) in sostanza si defila dalla prospettiva possibile di una partecipazione in questo e per rimarcare le sue differenze ha rifiutato, anche dopo gli attentati di Bruxelles, di sottoscrivere il patto istituzionale antiterroristico, che fu stipulato da socialisti e popolari contro l’Eta e poi rinsaldato ed esteso alla lotta contro la jihad dopo il massacro della stazione di Atocha a Madrid nel 2004. Tutte le altre formazioni politiche hanno aderito a questo accordo, ma Pablo Iglesias non ha voluto saperne. E così chi per il partito ha partecipato come osservatore alla riunione ha dovuto chiarire pubblicamente che non si ritiene impegnato a sostenerlo.
Marcare una “diversità” a tutti i costi sembra l’unico assillo della sinistra antagonistica europea, il che le inibisce di esercitare una funzione costruttiva anche di fronte a tematiche, come quelle della difesa della democrazia o del lavoro, che dovrebbero rappresentare un impegno naturale per formazioni di quell’area. Il pretesto è sempre quello di non volersi sporcare le mani con accordi con chi non condivide i suoi confusi principi, ma la conseguenza pratica è l’irrilevanza o la subalternità. Naturalmente la speranza di Varoufakis, di Iglesias e dei loro seguaci e imitatori è che la crisi travolga le formazioni politiche che cercano di trovare rimedi e che quindi si crei una situazione a loro favorevole. Com’è capitato in Grecia due anni fa. E si è visto com’è andata a finire.