Barack Obama con Raul Castro durante la partita di baseball all'Avana (LaPresse)

Tra virgolette

Che cosa ci dice la ola di Obama a Cuba mentre lo Stato islamico colpisce l'Europa

Redazione
La vera natura della visita di Barack Obama a Cuba, ha scritto l'opinionista Charles Krauthammer sul Washington Post, emerge con chiarezza dal contrasto tra le immagini degli attentati di Bruxelles e quelle contemporanee del presidente Usa che faceva la ola con il suo omologo Raul Castro durante una partita di baseball all'Avana.

"Obama era a Cuba a celebrare l’arcobaleno caraibico". Giuliano Ferrara sul Foglio di giovedì 24 marzo


La vera natura della visita di Barack Obama a Cuba, ha scritto l'opinionista Charles Krauthammer sul Washington Post, emerge con chiarezza dal contrasto tra le immagini degli attentati di Bruxelles e quelle contemporanee del presidente Usa che faceva la ola con il suo omologo Raul Castro durante una partita di baseball all'Avana. Da una parte, scrive Krauthammer, c'era il mondo reale, quello dell'ascesa globale del terrorismo. Dall'altra, “il mondo delle fantasie di Obama, dove corteggiare un paese geopoliticamente insignificante, ottenendo in cambio assolutamente nulla sul fronte della democrazia e dei diritti umani, è considerato un successo seminale della diplomazia americana”. Più che un viaggio teso a definire il lascito della presidenza Obama, quello a Cuba è stata “una passerella”.

 

Quando le bombe hanno sconvolto la capitale del Belgio, diverse voci hanno chiesto a Obama di interrompere anticipatamente il suo viaggio e tornare negli Usa. Sarebbe stato un errore, riconosce l'opinionista: “Un presidente degli Stati Uniti non può lasciare che tre terroristi dettino il suo itinerario”. Senza contare che la tappa successiva del viaggio di Obama, l'Argentina, “è davvero importante, tanto più che quel paese ha eletto un governo amico che ha rotto col passato peronista”. Certo è, aggiunge Krauthammer, che il presidente Usa avrebbe potuto esibire il buon gusto di fare a meno del baseball. Obama ha trascorso i suoi due mandati presidenziali sostenendo che la minaccia del terrorismo di matrice islamica – ribattezzato da lui “estremismo violento” – sia stata sostanzialmente esagerata, e che ciò abbia contaminato i valori dell'occidente e la sua politica estera.

 

Il presidente ha dichiarato unilateralmente la fine della guerra al terrorismo, e da allora ha fatto di tutto per condurla in segreto e silenziosamente. Spesso ricorda che in un anno muoiono più cittadini statunitensi in vasca da bagno che negli attentati. Per sette anni, però, “il mondo ha testardamente rifiutato di adeguarsi ai pacifici sogni del presidente”, e si è giunti al punto che lo Stato islamico “è nel pieno di una campagna di infiltrazione europea” che ha potuto condurre praticamente indisturbato. A tal fine, l'organizzazione terroristica ha addestrato uno zoccolo duro di 400-500 terroristi rigorosamente addestrati, un decimo dei circa 5 mila jihadisti che hanno fatto ritorno dalla jihad in Siria e Iraq. Il rischio, tanto inquietante quanto taciuto da Obama e dalle leadership europee, è che l'Isis si prepari a scatenare “una guerriglia armata in Europa”. A uno scenario simile e ai tragici attentati di Bruxelles, conclude Krauthammer, Obama ha dedicato 51 secondo del suo discorso di commiato a L'Avana, durato 35 minuti.