L'onore sull'Iran salvato dalle hostess
Air France riprenderà i voli per Teheran il 17 aprile, ma il personale non cessa le proteste. La scorsa settimana, le hostess hanno ottenuto una deroga per chi non volesse lavorare sulla tratta verso la Repubblica islamica, dove è obbligatorio il velo. Adesso gli steward omosessuali lanciano una richiesta simile: “Non fateci volare verso la morte”. Recita così l’appello lanciato da un assistente di volo che si è identificato come Laurent M. e che chiede alla compagnia che i membri dell’equipaggio omosessuali non siano costretti a volare in Iran, dove i gay sono impiccati alle gru e condannati alle frustate pubbliche. In una dichiarazione in risposta alla richiesta degli steward, Air France ha detto di non avere avuto problemi negli ultimi anni nei diciassette paesi in cui opera e che hanno anche leggi punitive contro l’omosessualità. “Volare in un paese che non rispetta i diritti umani e dove l’omosessualità è punibile con la morte? No, grazie”, recita la petizione a Air France, indirizzato al ceo, Frédéric Cagey, e al ministro dei Trasporti francese, Alain Vidal.
Mentre i capi di stato e i primi ministri europei stanno tutti partendo per Teheran ansiosi di stipulare contratti e ottenere lauti appalti (Matteo Renzi è stato il primo leader occidentale), queste due vertenze simboliche dentro Air France ci ricordano che, oltre al realismo e al cinismo politici, ci sono anche i valori non negoziabili. E questi, se messi in discussione come è successo dagli iraniani, diventano l’unico discrimine fra le democrazie e gli odiosi regimi tirannici. Questi steward e hostess hanno il merito di ricordarcelo.