Il suicidio assistito del Canada
Il compassionevole premier canadese Justin Trudeau, che da quando è stato eletto lo scorso autunno ha fatto del politicamente corretto la misura della sua azione politica, ha deciso di estendere la compassione del suo governo, poco importa se richiesta o no, fino agli ultimi respiri di vita dei cittadini. Ieri il governo di Ottawa, con una mossa ampiamente annunciata, ha introdotto una legge che consente il suicidio medicalmente assistito ai canadesi che versano in gravi condizioni di salute.
Il primo ministro canadese Justin Trudeau
La lotta politica intorno a questi temi è iniziata in Canada nel 2015, quando la Corte suprema ha obliterato una legge che considerava il suicidio assistito un crimine penale. La Corte, allora, diede al governo conservatore presieduto da Stephen Harper un anno di tempo per introdurre una nuova legge ed evitare il vuoto legislativo, ma Harper, da sempre contrario alla morte assistita, ha evitato di legiferare sul tema. Da allora, alcuni enti statali come il Québec hanno promulgato leggi sulla morte assistita, ma il primo ad agire a livello federale è stato Trudeau. Il premier è un sostenitore di vecchia data di suicidio assistito ed eutanasia, fin da quando suo padre, l’ex primo ministro Pierre, rifiutò i trattamenti per il suo cancro alla prostata ormai incurabile. La legge sarà vagliata dal Parlamento, dove il partito di governo gode di un’ampia maggioranza. Per Trudeau, che finora ha lottato più per l’autodeterminazione delle minoranze che contro lo Stato islamico, che ha difeso il diritto di indossare il velo e ha inaugurato nelle scuole “classi di ateismo”, che è figlio, in pratica, di quella cultura in cui la parola “autodeterminazione” significa perdita di valore della vita, l’introduzione del suicidio assistito era un passo scontato.