Sul kamikaze di Piazza Tahrir
Cinque anni fa, Ahmad Darrawi è stato uno dei giovani idealisti il cui coraggio ha suscitato ammirazione in tutto il mondo. Dopo aver servito come ufficiale della polizia egiziana, Ahmad disse di avere lasciato disgustato dalla corruzione. Nel 2011, Ahmad si mise a capo dell’avanguardia di piazza Tahrir al Cairo e apparve spesso in tv. Poi si candidò per il Parlamento come indipendente. Un uomo sorridente che scandiva slogan su “dignità e sicurezza”. Un percorso che si sarebbe concluso sui campi di battaglia dell’Iraq, dove Darrawi si è fatto saltare in aria in nome dell’Isis. Come ha fatto un giovane promettente, originario di una famiglia della classe media del Cairo, a trasformarsi in un attentatore suicida a sangue freddo? Ce lo chiedemmo anche per Mohammed Atta, il leader dei kamikaze dell’11 settembre.
Secondo il Wall Street Journal, che di Darrawi racconta la storia, la vicenda è emblematica della “discesa più ampia del mondo arabo negli ultimi cinque anni: dalla nonviolenza all’omicidio di massa, dai proclami di tolleranza e di idealismo civico alla ferocia dello Stato islamico”. In un video Ahmad dichiara: “E’ il vecchio sogno perduto dopo la caduta del Califfato. E lo faremo ridiventare realtà attraverso i nostri corpi mutilati”. E’ la triste storia di un sogno, la “primavera araba”, che si è trasformato in un incubo, il lungo inverno islamista: l’Egitto è stato salvato da una nuova giunta militare, in Tunisia si giustiziano per strada i politici laici e si compiono stragi al Bardo, la Libia è succube di una guerra fra tribù, la Siria sembra uscita da un quadro di Bosch. Come dimostra la parabola di Darrawi, l’unica soluzione è l’abolizione dell’utopia califfale. Atatürk.