La virata di Trump
La potente vittoria alle primarie di New York ha dato a Donald Trump l’ancoraggio necessario per fare l’ennesima rotazione, questa volta verso una campagna tradizionale, fatta di discorsi sulla policy, una struttura di consiglieri, lezioni al teleprompter, uno sforzo “più efficace e disciplinato”, come dice lui, dove il candidato si sfila dal messaggio del partito soltanto per fare passi verso il centro, o quasi. L’idea che Caitlin Jenner possa utilizzare i bagni che preferisce è un messaggio all’ortodossia repubblicana che porta avanti la “guerra dei bagni”, questa volta in North Carolina, dove si è aperto il cielo per una legge che impone a ciascuno di usare il bagno che corrisponde al genere specificato sul certificato di nascita.
La settimana prossima Trump terrà un grande discorso sulla politica estera, tanto per fissare timbro e intonazione di una nuova fase elettorale non strettamente determinata dal motto “let Trump be Trump”. La musica cambia in una fase dove i maggiorenti del partito riuniti in Florida hanno smesso di pensare soltanto a come abbatterlo e si concentrano ora sull’elenco delle condizioni per concedergli fiducia, con il chairman del partito, Reince Priebus, a spiegare ai colleghi che sarà il candidato con più delegati a ottenere la nomination. Ora che anche Ted Cruz è fuori dalla possibilità aritmetica di presentarsi alla convention di Cleveland con i delegati necessari, la possibilità di una congiura di palazzo per disarcionare Trump appare sempre più remota, e così l’establishment accenna un timido passo verso Trump. Lui ricambia correggendo la sua campagna esagerata e d’avanspettacolo in senso tradizionale.
L'editoriale dell'elefantino