Il gender e la maledizione delle parole
Gli ecologisti devono aver perso la brocca. Caroline Criado-Perez, la femminista che ha guidato la campagna per imprimere il volto e il nome di una donna sulle banconote inglesi, ha parlato di “toni ignoranti più anti-donna e anti-femministi che abbia visto da tempo”. E ha riscritto la famosa frase di Simone de Beauvoir: “‘Non uomini’ non si nasce, ma si diventa”. E’ successo che i Verdi in Inghilterra hanno deciso di preferire nei loro documenti l’uso della dicitura di “non uomo” a quella sessista di “donna”, che potrebbe mettere in imbarazzo alcune categorie sessuali non meglio definite, a cominciare dai transessuali. Tutto in nome del “progresso”. “Non-binary”, per chi non lo sapesse, è un termine politicamente corretto per indicare qualcuno che non si considera né uomo né donna.
E’ l’impazzimento della cultura del gender che domina da anni il dibattito in Europa, a cominciare dalle nostre scuole. E’ la maledizione che ormai segna le nostre parole, una spada di Damocle che pende sulla testa di milioni di persone, pronta ad abbattersi sulla loro ignavia lessicale. Iniziò qualche anno fa il socialista ciudadano Zapatero, che decise di abolire i termini “padre” e “madre” dall’anagrafe spagnola, per non creare inopportuni imbarazzi nelle nuove famiglie omosessuali con figli surrogati annessi. Tempo fa, la City University di New York ha deciso di mettere al bando anche i già neutri “Mr.” e “Mrs.”. Perché le donne dovrebbero dire se sono sposate o no? E che ne sarebbe dei trans? Esseri umani rinnovabili. E’ l’ultima conquista di un pensiero verde e genderista impazzito.