La religione è nemica della Cina
La libertà religiosa in Cina è un pericolo. Lo ha detto, neanche troppo velatamente, il presidente cinese Xi Jinping sabato scorso, durante una conferenza sulle religioni, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinuha. Xi ha detto ai membri del Partito comunista di agire come “atei marxisti inflessibili, consolidando la loro fede, e tenendo a mente i princìpi del partito”, perché è attraverso la dottrina religiosa che l’ostile presenza straniera può avere la sua influenza in Cina. “I gruppi religiosi devono rispettare la leadership del Partito comunista, e sostenere il sistema socialista cinese”, ha detto.
Da una parte, le parole del presidente, che chiede all’establishment di occuparsi delle questioni religiose, riguardano il fondamentalismo islamico, che però è a sua volta legato a una questione più politica, quella dell’indipendentismo uiguro nella regione autonoma dello Xinjiang, nel nord-ovest del paese. Ma a fare paura nelle parole di Xi c’è soprattutto il possibile inasprimento del controllo sui cattolici in Cina: nell’est del paese, secondo gli attivisti, più di 1.400 chiese hanno dovuto eliminare dalle loro facciate i simboli religiosi, “e molte sono state completamente demolite”, scriveva ieri il Time. La seconda potenza economica del mondo ha ufficializzato la sua posizione sulla libertà religiosa, e ha mandato un messaggio al mondo: non si tratta di combattere il fondamentalismo, ma di buttare giù le chiese.
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