Ipocrisia ecologista in Norvegia
Nella guerra politicamente corretta al riscaldamento globale la Norvegia è sempre stata uno studente modello. Oslo è amata e osannata da tutte le organizzazioni eco-animaliste e predica responsabilità ambientale nei consessi internazionali. Ha impegnato un miliardo di dollari per fermare il processo di deforestazione in Brasile, esorta l’Indonesia a proteggere le sue torbiere, preziosi ecosistemi acquitrinosi, ha pagato milioni di euro alla Liberia, al Congo e ad altri paesi africani per proteggere le loro foreste. Lo ha raccontato ieri il Financial Times in un’ampia pagina, che mostra però anche il rovescio della medaglia: il comportamento esemplare dal punto di vista ambientale della Norvegia all’estero si trasforma in un incubo di inquinamento in patria.
Oslo ha approvato di recente una legge che consente a un’azienda mineraria di sversare milioni di tonnellate di rifiuti industriali nei preziosi fiordi che cesellano le sue coste. Distrugge e non protegge le stesse torbiere che vorrebbe rendere inviolabili in Indonesia. Progetta di iniziare esplorazioni petrolifere in zone naturalisticamente rilevanti, come le splendide isole Lotofen. E’ comprensibile e giusto: con i suoi giacimenti enormi, la Norvegia è il più grande produttore di petrolio e gas di tutta l’Europa occidentale, da lì dipende la sua ricchezza. Ed è normale che, mentre i giacimenti tradizionali si esauriscono, si cerchino nuove risorse. I norvegesi, dice il quotidiano della City, hanno persino lasciato che le loro emissioni di Co2 aumentassero del 23 per cento negli ultimi 25 anni. Non il podio migliore da cui fare lezioncine sull’ambiente.