Il circo tecnologico-mediatico-giudiziario
Un miliardario della Silicon Valley di persuasioni libertarie e alfiere della libertà di stampa foraggia in segreto milionarie azioni legali contro un giornale online, con l’obiettivo di farlo andare gambe all’aria, per vendicare certi torti subiti in passato e contemporaneamente fare una battaglia di principio. La sinossi di un nuovo romanzo di Thomas Pynchon? No, lo strano caso di Peter Thiel, che mostra un cortocircuito paradossale fra informazione e giustizia. Il cofondatore di PayPal ed eclettico investitore-filosofo ha sostenuto con una cifra vicina ai dieci milioni di dollari Hulk Hogan, leggenda del wrestling che ha fatto causa a Gawker per la pubblicazione di un sex tape.
Un giudice ha condannato il sito di gossip a pagare 140 milioni di dollari all’ex lottatore, e a quel punto è venuto fuori che Thiel aveva sostenuto l’operazione (Nick Denton, proprietario di Gawker, sta cercando di vendere). Perché? C’è una causa prossima e una remota. Quella prossima: nel 2007 Gawker ha scritto che Thiel è gay, informazione a suo dire senza rilevanza pubblica ricavata da pettegolezzi raccolti nell’ambiente, non con un onesto lavoro giornalistico. Il soggetto dice che quell’articolo ha causato sofferenze gratuite a molte persone. E qui traccia un confine, che introduce alla causa remota. Per Thiel, Gawker agisce con il ricatto e la minaccia, si comporta da bullo, rovina vite e semina calunnie, lo sputtanamento è il suo core business, non un danno collaterale. E’ un’eccezione, una perversione degli standard giornalistici che lui difende. Sicuri che sia solo un’eccezione? Sarà. Almeno Thiel può contare su una magistratura che punisce i giornali che sputtanano.