Debole arroganza europea
Il silenzio dell’Unione europea sulla Brexit è stato violato di nuovo, questa volta dal capo di gabinetto del presidente della Commissione Juncker: “#G7 2017 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario dell’orrore che mostra bene perché vale la pena lottare contro il populismo”, ha tuittato il tedesco Martin Selmayr, attirandosi innumerevoli critiche per aver paragonato il capofila della Brexit a populisti infrequentabili. Il tipico “burocrate non-eletto di Bruxelles” avrebbe fatto meglio ad astenersi: l’episodio è sintomatico dell’arrogante codardia dell’Ue. Ora che i sondaggi danno in vantaggio il “remain”, la Commissione prova a mettere il suo stampino su un’eventuale vittoria. Juncker ha definito quelli che vogliono andarsene come “disertori”. Poi ha invitato l’ex sindaco di Londra Johnson a Bruxelles per vedere “se tutto quello che sta dicendo al popolo britannico è in linea con la realtà”.
Lui ha accettato e ricambiato: venga Juncker a vedere i danni dell’Ue. Dietro lo scambio c’è tutta la debolezza europea: i leader europei non sanno difendere davanti agli elettori il progetto che dicono tanto di amare. Al massimo gente tipo Selmayr può suggerire “linee guida ” in caso di sconfitta. Se la storia dei referendum in Grecia, Danimarca e Olanda insegna qualcosa, la probabile risposta in caso di Brexit sarà: “Tocca a Londra dirci quel che vuole fare”. Oppure un fantomatico “piano B” a mo’ di vendetta: rafforzare l’integrazione dell’Eurozona o lanciare un’agenda comune su sicurezza interna ed esterna. Peccato che né i 19 nell’euro né tutti i 27 siano in grado di mettersi d’accordo su un futuro più stretto insieme.