L'Asia perde la testa
Mentre tutti gli occhi erano puntati sull’ombelico europeo, dall’altra parte del mondo i paesi asiatici facevano i conti con i processi democratici occidentali. Erano le prime ore del pomeriggio a Tokyo, quando si stava avvicinando con sicurezza la notizia della vittoria del “leave”. La Borsa della capitale giapponese chiude alle tre, ma già dall’ora di pranzo gli investitori avevano iniziato a comprare yen, portando la valuta nipponica sotto quota 100 nei confronti del dollaro e sotto la quota 110 nei confronti dell’euro. Lo yen è considerato un bene rifugio, ma per un’economia come quella giapponese molto orientata verso l’export, uno yen forte può essere disastroso. L’indice Nikkei ha chiuso a -7,92 per cento, il peggior risultato dall’ottobre del 2014, l’ottavo nella storia dell’indice. Il Topix ha chiuso a -7,26 per cento. Per la finanza di Tokyo si tratta della peggiore giornata dopo quella dell’11 marzo del 2011 quando il terremoto – quello vero – colpì il Giappone. Nel pomeriggio il primo ministro Shinzo Abe ha convocato una riunione straordinaria. Poco dopo il ministro delle Finanze, Taro Aso, ha parlato ai giornalisti: “Sono estremamente preoccupato dell’impatto sulla finanza globale”, ha detto – senza però spiegare quali saranno le mosse del governo per contrastare il rafforzamento dello yen. Ci ha pensato la Banca centrale del Giappone, che in un comunicato congiunto con il ministero ha detto di essere pronta a intervenire in ogni modo, anche ricorrendo agli accordi di swap con le altre Banche centrali. E’ l’incubo dell’Abenomics: non solo Abe ha più volte dichiarato di essere per un’Europa unita, perché facilita le esportazioni e il business tra Tokyo e Londra, ma in uno scenario di volatilità dei mercati simile è difficile invertire la tendenza alla deflazione del Giappone.
Il panico genera panico, in una specie di spirale d’isteria collettiva. Ieri pomeriggio la Banca centrale coreana e quella indiana sono intervenute direttamente per proteggere la valuta: il won coreano ha vissuto il suo giorno peggiore degli ultimi cinque anni, anche se al ministero delle Finanze di Seul si minimizzava (“La Corea non è così esposta con Londra”). Mentre pure la Borsa di Hong Kong chiudeva a -4,67, e la Banca centrale cinese interveniva, a Pechino si sorrideva: l’Europa è il maggior partner commerciale della Cina, ma la Commissione da sempre cerca di limitare l’azione di Pechino in Ue. Un’Inghilterra isolata e libera è un’opportunità.