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Poliziotti davanti alla Corte Suprema, Washington DC (foto LaPresse)
Il Texas, l'aborto e il pericoloso centralismo mainstream sui diritti
La Corte suprema americana ha bocciato parte della legge restrittiva del Texas che avrebbe ridotto nello stato il numero delle cliniche abortive da circa 40 a 10. E’ una delle decisioni più importanti in materia dal 1992, e avrà impatto anche sulla legislazione di altri stati americani. Dai tempi della storica sentenza Roe vs Wade, che sancì il diritto all’aborto basato sulla libera scelta della donna, i singoli stati hanno negli anni legiferato per ridurne la libertà di accesso, potendo loro decidere i limiti dell’applicazione della legge.
Che quella del Texas fosse la più restrittiva di tutte è evidente, ma la decisione della Corte è l’ennesimo segnale preoccupante del fatto che – alla faccia della land of free – sui diritti fondamentali gli stati hanno sempre meno potere, e che le decisioni principali vengono prese da nove giudici politicizzati che scelgono per tutti, passando sopra alle leggi dei singoli stati soprattutto sui temi più delicati e discussi. Con questo iperattivismo della Corte suprema si assiste al trionfo del centralismo, con sentenze il più delle volte scritte seguendo i dettami del pensiero unico corrente, meglio se politicamente corretto. La sentenza è passata per cinque voti a tre: i giudici conservatori Thomas, Alito e Roberts si sono opposti. Inutilmente come spesso succede su questi temi ultimamente. Forse non è giocando sui cavilli delle leggi e sulle interpretazioni restrittive che si potrà vincere una battaglia culturale importante come quella sul diritto alla vita, ma che il pensiero unico mainstream passi da un organo centralista è preoccupante per la nazione che si autodefinisce il paese della libertà.
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