Perché il terrorismo ha colpito la Turchia
La Turchia viene colpita dal terrorismo – forse di matrice islamica, come ha detto il primo ministro – proprio mentre il suo governo stava modificando la propria strategia nella guerra al terrore, fino a oggi assai confusa e contraddittoria, come dimostra l’insistenza nell’isolare i curdi che combattono contro lo Stato islamico (non solo i terroristi del Pkk) e una certa propensione a dare sostegno agli insorti sunniti in Iraq per contenere l’influenza esercitata dall’Iran sugli sciiti.
Le mosse recenti, l’accordo con Israele e quello con la Russia, chiudono due vicende che avevano generato tensioni e incomprensioni – quella dell’affondamento da parte degli israeliani di una nave turca diretta a Gaza e quella dell’abbattimento di un aereo russo da parte dei turchi – e provano a riportare il governo di Ankara nel novero dell’alleanza antiterroristica internazionale.
L’effetto psicologico dell’attentato dell’aeroporto di Istanbul non può che rafforzare questa svolta, che richiede un’accoglienza sinceramente solidale da parte degli alleati di Ankara. In un anno la Turchia ha subito sette attentati terroristici sanguinosi, il che spiega, anche se non giustifica, l’inasprimento della legislazione e la limitazione dei diritti di informazione e di associazione. Non è però ragionevole trascurare la situazione particolare in cui si trova la Turchia. Esaminate in termini astratti di civiltà giuridica, anche le misure adottate dall’Italia nella fase rovente dell’epoca brigatista, o l’approvazione del 41 bis durante l’attacco mafioso, rappresentano una evidente limitazione di alcuni diritti fondamentali, per giustificate ragioni di emergenza nazionale.
Questo non significa, naturalmente, che il governo turco non debba essere sottoposto a critiche e a suggerimenti volti a evitare un decadimento irreparabile della democrazia e delle libertà. Queste critiche, però, devono assumere il carattere di un ammonimento dato a un alleato, a una vittima di aggressioni terroristiche disumane che va aiutato in ogni modo a reggere a questa sfida. Dal punto di vista geopolitico il ruolo della Turchia, paese islamico membro della Nato e alleato militarmente a Israele, è uno snodo essenziale. La Turchia ha diritto alla garanzia internazionale della sua integrità territoriale, e su questa base può diventare un elemento decisivo del fronte antiterroristico.
Più complesso, naturalmente, il ragionamento sulla sua eventuale funzione di guida di un fronte islamico “moderato”. Per ora quel che conta è che sia pienamente integrata nel fronte antiterroristico. Come si configureranno i rapporti di forza, le influenze territoriali e le sfere di influenza dopo la sconfitta dell’Isis dipende da come si svolgerà il conflitto. Per ora è necessario allargare il più possibile il fronte dell’alleanza e la svolta turca è un elemento positivo in questa direzione.
L'editoriale dell'elefantino