L'ennesimo stimolo di Abe
Il governo di Shinzo Abe ha approvato ieri uno stimolo fiscale da oltre 246 miliardi di euro. Si tratta di un pacchetto di incentivi che comprende nuovi fondi per le infrastrutture e un budget per i cittadini a basso reddito, manovra che dovrebbe servire a risollevare i consumi nel paese: “Con questo pacchetto di stimoli, non stiamo solo aiutando la domanda ma stiamo raggiungendo anche una crescita economica sostenibile guidata dalla domanda privata”. E’ la deflazione, infatti, il peggior incubo di Shinzo Abe, sin dal suo insediamento nel dicembre del 2012. I vent’anni di stagnazione nipponica hanno abituato i giapponesi a spendere poco e a investire ancora meno, in un paese in cui i pensionati hanno accumulato ricchezze senza investirle e i giovani difficilmente si lanciano nell’imprenditoria privata. “La parola chiave è investire nel futuro”, ha detto il primo ministro giapponese.
Sull’ultimo numero dell’Economist, l’Abenomics di Shinzo Abe – e le sue tre frecce: stimolo monetario, flessibilità fiscale e riforme strutturali – è stata descritta come “tanto sbandierata, ma troppo criticata”. Secondo l’Economist ci sono ancora parecchie cose che il mondo può imparare dall’esperimento giapponese. E lo sanno i cittadini: alle ultime elezioni per la Camera alta, il Partito liberal democratico di Abe ha ottenuto un buon risultato. Secondo i sondaggi i giapponesi lo hanno premiato perché “dà un’alternativa” alla stagnazione economica, una speranza, cosa che invece l’opposizione di centrosinistra non ha ancora definito. Intanto il dialogo del governo con la Banca centrale del Giappone, guidata da Haruhiko Kuroda, continua fittissimo. Ieri durante una conferenza stampa a Tokyo, al termine di un incontro con il ministro delle Finanze, Taro Aso, Kuroda ha detto che la revisione della strategia della BoJ, attesa per settembre, non implicherà una stretta monetaria – in ogni caso, ha rassicurato, l’obiettivo sarà il 2 per cento di inflazione. Tutta l’attenzione alla (confusa, innovativa e sperimentale) politica monetaria, dicono le malelingue, serve al governo a evitare di parlare delle riforme strutturali, che ancora non sono state fatte. Nel frattempo, un’alternativa in Giappone non esiste.