Vista da Bengasi, la guerra allo Stato islamico mostra tutte le sue crepe
Milano. La battaglia di Sirte, in Libia, è concentrata sul centro congressi Ouagadougou, che è tutto bianco con la bandiera nera dello Stato islamico che spicca, e nelle strade attorno all’ospedale e all’università. I miliziani di al Baghdadi erano migliaia e ora sono nell’ordine di centinaia, dice il comando americano che da lunedì ha iniziato i bombardamenti sulla città, ma “si sono tenuti i migliori per il finale”, ha detto alla Reuters un soldato di Misurata, uno dei “boots on the ground” libici contro lo Stato islamico, per spiegare che la battaglia non sarà breve. La filiale egiziana dello Stato islamico rilancia nel suo ultimo video, pubblicato lunedì, la sua minaccia: “Questo è soltanto l’inizio”, e “ci incontreremo a Roma”, sentenzia, con un’immagine di Piazza Navona. L’Italia che sta formalizzando l’utilizzo delle sue basi per i blitz americani in Libia e ha arrestato due sospettati di terrorismo, un pachistano e un siriano, e ha messo sotto indagine tre imam, è obiettivo esplicito dello Stato islamico.
Alcuni esperti e militari sostengono che il bombardamento in Libia è arrivato troppo tardi: molti miliziani di al Baghdadi si stanno già organizzando altrove. In più il processo di stabilizzazione del paese, incentrato sul ruolo del premier di Tripoli Fayez al Serraj, potrebbe non ricevere gran giovamento dall’endorsement americano al governo di accordo nazionale: la lotta allo Stato islamico non crea unità in Libia. A Bengasi, nell’est del paese in cui governa il generale Khalifa Haftar, il blitz americano è considerato illegittimo perché illeggittimo è considerato lo stesso governo Serraj e l’irritazione nei confronti dell’America va di pari passo con quella nei confronti dell’Italia.
Claudia Gazzini, grande esperta di Libia all’International Crisis Group, è rientrata da pochi giorni da Bengasi e al Foglio racconta che cosa si dice in quella parte di paese in cui gli attentati sono in aumento – l’ultima bomba ha ucciso 20 persone – e l’insofferenza nei confronti di Tripoli e dei suoi alleati occidentali pure. “Haftar si sente molto più forte di quanto non si voglia credere a Tripoli – spiega Gazzini – e l’intervento americano non fa che confermare una teoria che tutti, nell’est della Libia, considerano veritiera: i misuratini, le truppe che combattono a Sirte, hanno prima lasciato che lo Stato islamico si insediasse, poi l’hanno combattuto per accreditarsi dal punto di vista internazionale e ricevere quel sostegno in armi che serve per portare avanti la loro lotta di potere”. La retorica anti Tripoli – che si sostanzia nel non riconoscimento del governo di Serraj e nella denuncia della sua insostenibile debolezza interna – riguarda anche l’Italia: “I francesi, gli americani e gli inglesi hanno contatti e presenza a Bengasi – dice Gazzini – mentre da quel che mi hanno raccontato gli italiani ci sono stati sì, all’aeroporto che fa da base di intelligence, ma ora non ci sono più, e questo alimenta un clima ostile verso Roma”.
Libia, prosegue la lotta per Sirte: roccaforte dello Stato Islamico (foto laPresse)
Poi ci sono i russi. “E’ palpabile la fiducia che oggi il generale Haftar e i suoi ripongono sulla Russia – racconta l’esperta – Dopo la visita un paio di settimane fa del generale a Mosca è parso ormai assodato che arriverà un aiuto dalla Russia, non di uomini, ma di armi, per aumentare un arsenale bellico che è un po’ scarso”. Era in programma anche una seconda visita, in questi giorni, a Mosca, dice Gazzini, ma con gli ultimi eventi potrebbe slittare. Il segnale politico che è arrivato dalla Russia però è molto evidente: è in dubbio la legittimità dell’intervento americano, secondo Ivan Molotkov, ambasciatore russo in Libia, che ha chiesto una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu – premessa per un veto russo. L’impossibilità di una ricomposizione dei rapporti tra Bengasi e Tripoli – non alle condizioni attuali, almeno – fa temere che anche la Libia possa diventare teatro di uno scontro ben più ampio, come già avviene in Siria e in Iraq.
L’accordo di cooperazione tra gli Stati Uniti e la Russia per quel che riguarda la Siria dovrebbe concretizzarsi in questi giorni, sostengono alcune fonti: la bozza è allo studio da tempo, ma le perplessità tattiche – soprattutto da parte dei militari americani – sono molte. L’apertura del fronte libico potrebbe complicare ancora di più la trattativa, a conferma del fatto che la lotta allo Stato islamico non è unica, e non unisce.