La spirale pericolosa di Kabul
Mentre lo sguardo dell’occidente è rivolto altrove, ai quadranti del medio e vicino oriente in fiamme e soprattutto al proprio interno colpito dal terrorismo islamico, in Afghanistan, luogo trascurato dal ciclo delle news più recente, il peggioramento di una spirale pericolosa potrebbe aprire nuovi fronti di rischio. Dal 2014 il paese è appeso a un fragilissimo accordo tra i due principali contendenti delle ultime elezioni, il presidente Ashraf Ghani e il “chief executive” Abdullah Abdullah, carica quasi paritetica creata a tavolino dal segretario di stato americano John Kerry per evitare che i due, che nel 2014 dichiaravano entrambi la vittoria alle elezioni, trascinassero il paese nel caos. La coabitazione tra Ghani e Abdullah non ha mai davvero funzionato, e nel vuoto di potere si sono infiltrate le forze dei talebani, che una campagna militare dopo l’altra hanno ricominciato a mangiarsi parte del paese. Scriveva il New York Times in aprile, citando l’esperto Bill Roggio, che a 14 anni dall’inizio della guerra i talebani hanno il controllo o un’influenza fondamentale su circa metà del paese, e questa è una delle ragioni che ha spinto il presidente Obama, il mese scorso, ad annunciare che lascerà nel paese molte più truppe americane del previsto alla fine del suo mandato (8.400 contro le 5.500 previste). Ora però il fragile accordo di governo sembra infine arrivato al suo punto di rottura.
Giovedì Abdullah Abdullah, parlando in conferenza stampa, ha detto che il suo partner istituzionale, non ha mantenuto gli accordi presi nel 2014, lo ha isolato dall’azione esecutiva e non ha rispettato due delle principali clausole del patto patrocinato da Kerry: la riforma elettorale e l’indizione di elezioni parlamentari per la fine di settembre, rimandate a data da destinarsi. Ghani, ha detto Abdullah, è inadatto al governo. Una crisi istituzionale sembra più vicina che mai, anche perché il vecchio presidente Hamid Karzai, eminenza grigia della politica del paese, intanto lavora ai fianchi per destabilizzare il governo e, si dice, per sostituirlo. Questo non farebbe che favorire i talebani, che da mesi si stanno rimangiando l’Helmand pezzo per pezzo, infliggendo sconfitte all’esercito di Kabul. Proprio in questi giorni hanno sferrato un attacco da diverse direzioni a Lashkar Gah, capitale della regione del sud. L’occidente è comprensibilmente distratto, ma rischia di tornare presto a sentir parlare di Afghanistan.
L'editoriale dell'elefantino