Un rimpasto da battaglia
L’ennesimo rimpasto nel team della campagna elettorale del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, il secondo in due mesi dopo il licenziamento a giugno di Corey Lewandowski, porta di nuovo con sé la stessa domanda iniziale, quella che perseguita Trump fin quasi dall’inizio della campagna per le primarie: il candidato si normalizzerà o continuerà la sua cavalcata folle? Secondo indiscrezioni giornalistiche diffuse inizialmente dal Wall Street Journal e poi confermate dai diretti interessati, Trump ha assunto come chief executive della campagna Stephen Bannon, presidente esecutivo di Breitbart, scorrettissimo, battagliero e iperconservatore sito di news e pettegolezzi che è da sempre una delle forze mediatiche dietro alla campagna trumpiana, mentre Kellyanne Conway, dura consigliera del candidato, sarà promossa manager della campagna (a questi si aggiunge l’ex capo di Fox, Roger Ailes, come consulente per i dibattiti).
Paul Manafort, che finora ha gestito la campagna presidenziale, rimarrà al suo posto, ma dopo il calo recente nei sondaggi e gli scandali sulle sue presunte consulenze milionarie all’ex presidente ucraino, il filorusso Yanukovich, molti pensano che il suo ruolo sarà significativamente ridotto. Su Breitbart, Bannon persegue da sempre un’agenda politica bombastica e al tempo stesso anti establishment, sia democratico sia repubblicano, che ben si confà con il lato al tempo stesso più combattivo e fuori controllo del candidato. Alla domanda annosa che avvolge Trump dall’inizio e che determinerà i tentativi delle prossime settimane per raddrizzare la campagna elettorale, le nuove nomine sembrano dare una risposta, che è poi il vecchio motto di Lewandowski: “Let Trump be Trump”.