Ecco la stretta di Erdogan sul mondo accademico in Turchia
Roma. Ieri il quotidiano americano Wall Street Journal ha pubblicato una lunga inchiesta per raccontare la stretta del governo turco sul mondo accademico dopo il fallito tentativo di colpo di stato militare del 15 luglio. Nel giro di una notte, scrive il giornale, i professori sono diventati una categoria sospetta. Il ministero dell’Istruzione ha licenziato più di 27 mila dipendenti, il Consiglio di istruzione superiore della Turchia ha costretto tutti i 1.577 presidi delle facoltà universitarie a dimettersi e ha detto che soltanto quelli che non avevano legami con i golpisti sarebbero stati reintegrati. A ciascuna università è anche arrivato l’ordine di elencare i membri delle facoltà sospettati di collegamenti con il predicatore Fethullah Gülen, sospettato dal governo di essere il mandante del tentato golpe militare. Le quindici università esplicitamente collegate a Gülen sono state chiuse e sigillate come fossero scene del crimine.
Per ora l’epurazione ha colpito soprattutto gli accademici che erano già in rotta con Erdogan prima del tentativo di colpo di stato, soprattutto quelli legati a Gülen e considerati critici del governo. Ma il clima gelidissimo si sta espandendo e molti professori turchi in attesa di una seconda ondata di purghe sono alla ricerca di lavoro all’estero.
Le convulsioni interne al mondo accademico della Turchia sono l’ultimo capitolo, e forse quello che causerà trasformazioni più profonde, nella lunga storia della scissione tra l’élite urbana del paese e l’interno conservatore-islamico, che rivela un’accelerazione nel cambiamento del paese da coraggioso alleato dell’occidente ad aspirante potenza regionale.
L’epurazione intellettuale in corso sta offrendo l’occasione agli alleati di Erdogan per realizzare un obiettivo tutto loro: far pendere la bilancia del potere lontano dalle torri d’avorio che la pensano all’occidentale a Istanbul e Ankara e verso quello che i sostenitori del governo in carica chiamano le università per la “Nuova Turchia”, un amalgama di devozione islamica e di nazionalismo radicato nel passato ottomano. Il governo ha sospeso il programma Fulbright English Teaching Assistant del dipartimento di Stato americano e ha cancellato le borse di studio Jean Monnet dell’Unione europea dopo il fallito colpo di stato. Batuhan Aydagul, direttore della riforma Education Initiative presso l’Università Sabanci di Istanbul, ha detto che il cambiamento potrebbe rubare l’ancoraggio istituzionale che legava la Turchia ai suoi alleati occidentali e erodere la posizione del paese tra le economie globalizzate emergenti. Un alto funzionario del governo turco respinge le preoccupazioni sulla visione di Erdogan che sarebbe in conflitto con gli interessi della Turchia e dice: “La Turchia ha ottime scuole e dipartimenti. Come è ovvio, vorremmo avere i migliori dipartimenti in tutti i settori”. Il Consiglio di istruzione superiore non ha risposto alle richieste di commento. Leader del partito Akp hanno detto che la repressione post colpo di stato ha il sostegno nella società turca.
Tra gli accademici colpiti dalle purghe compaiono alcuni tra i più di mille che a gennaio hanno firmato una lettera aperta per chiedere colloqui di pace tra il governo e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, o Pkk, un gruppo terroristico che vuole l’autonomia nell’est della Turchia a maggioranza curda.
Maya Arakon, 44, una docente che si autodescrive come laica e liberale, ha dovuto affrontare un rischio doppio dopo il putsch. Aveva firmato la lettera a favore dei negoziati con i curdi e insegnava anche all’Università Suleyman Shah di Istanbul, aperta da seguaci di Gülen nel 2010 e chiusa dal governo subito dopo il golpe andato a vuoto. “Sono sotto choc” dice ora la signora Arakon, nel suo appartamento di Istanbul pieno di scatoloni perché si prepara a partire per gli Stati Uniti. “Mi sento non voluta e non apprezzata, e sento che la mia vita, i miei pensieri e la mia esistenza sono minacciati”.
Candan Badem, 46 anni, un professore di Storia nella città di Tunceli anche lui tra i firmatari della lettera, è stato sospeso all'inizio di agosto. Il suo avvocato ha scoperto che il docente è indagato come sospetto cospiratore nel colpo di stato perché le autorità hanno trovato un libro di Gülen nel suo ufficio all’università. “Le indagini sono una farsa totale” dice Badem, e cita i suoi anni di critiche contro il predicatore. L’Università di Tunceli non ha risposto alle richieste di informazioni del Wall Street Journal.
La paura si è diffusa a tutto il mondo accademico, e molti intellettuali turchi dicono che hanno paura di parlare e che i loro cellulari sono sotto controllo e la possibilità di fare ricerca è ora limitata.
Le università in Svezia, Germania e Austria segnalano un aumento delle richieste da parte di accademici turchi. Karabekir Akkoyunlu, un assistente professore specializzato in Turchia moderna all’Università di Graz in Austria, racconta che il mese passato per la prima volta i colleghi in patria hanno cominciato a chiedere se c’erano posti disponibili.
“Siamo sommersi all’improvviso da richieste da parte del mondo accademico junior e senior”, dice Umut Ozkirimli, un turco specializzato in Scienze politiche all’Università di Lund in Svezia, decine di accademici turchi lo chiamano in cerca di lavoro in Europa o negli Stati Uniti. “C’è un senso di urgenza, la gente è disperata”.
Per decenni, le migliori università – tra cui la Bogazici di Istanbul e quella della Tecnica in medio oriente di Ankara – hanno giocato un ruolo straordinario nel plasmare una cultura nazionale laica in linea con i princìpi stabiliti dal fondatore della repubblica, Mustafa Kemal Atatürk. Erano i tempi in cui il velo era bandito dai campus, per esempio. Quando il partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan, l’Akp, è salito al potere nel 2002, mettere fine al divieto è stato tra le sue priorità e ci sono voluti quasi otto anni. Erdogan ha definito la sua filosofia dell’educazione come la costruzione di “una generazione religiosa”. Sotto il governo dell’Akp, le iscrizioni all’università sono più che triplicate e il governo ha aperto 57 nuove università pubbliche, molte delle quali in aree che erano storicamente prive di opportunità educativa e politica. Le università gestite da fondazioni private, incluse quelle affiliate a Gülen, sono diventate 68 da venti che erano. Ma oggi il finanziamento pubblico, racconta il Wall Street Journal, è indirizzato soprattutto verso quegli atenei che fanno ricerca in temi cari al Partito al potere: i tempi dell’Impero ottomano e gli studi islamici.