Il patriarca va alla guerra contro l'Isis
Fin dall’inizio dell’espansione califfale tra la Siria e l’Iraq, il patriarca di Baghdad, Louis Raphaël I Sako, ha alzato la voce cercando di far capire che o il “cancro” (sua definizione più volte ripetuta) viene eliminato alla radice, estirpandolo con ogni mezzo possibile (compresi i soldati sul terreno), o non ci sarà nulla da fare. Lontano dai prudenziali equilibrismi vaticani e dai paragoni tra i jihadisti che sgozzano preti sull’altare e battezzati cattolici che ammazzano suocere esasperanti, Sako nel fine settimana ha scritto e fatto pubblicare sul sito del patriarcato una lunga nota in cui ribadisce che “è tempo di fermare l’avanzata del cancro”.
Cari musulmani e non musulmani, “non è questo il momento giusto per affrontare seriamente e non superficialmente questa situazione?”, si domanda. Si dice che la maggioranza dei musulmani è “neutrale, di mentalità aperta e disposta a lavorare sodo per il bene dei loro paesi e dei loro concittadini”. Bene, e allora “la loro iniziativa dovrebbe consistere in una posizione unita e forte, per fermare la diffusione del cancro jihadista”. Quel che bisogna fare, soprattutto, è “mettere fine a ciò che lo Stato islamico sta proclamando, cioè che l’unica strada per garantirsi il Paradiso è ammazzare persone innocenti usando cinture esplosive, autobomba, coltelli. I musulmani dovrbbero mostrare il vero volto dell’islam al mondo e confermare che l’estremismo è contrario al loro credo”. Finora, aggiunge, abbiamo sentito solo “sermoni religiosi e fatwa che hanno come obiettivo i cristiani”, come quello in cui si invitano i fedeli a pregare “affinchè Dio renda tutte le mogli cristiane vedove e i loro figli orfani”.