Il divieto al burkini non è islamofobia
Mancava soltanto l’intervento dell’Onu nel dibattito più incandescente e divisivo di questa estate: quello sul burkini, il costume integrale islamico, oggetto di divieto in più di trenta località balneari francesi. Ma come spesso accade ai piani alti del Palazzo di vetro, quando viene emesso un giudizio si preferisce sviare dal cuore del dibattito e trovare altri colpevoli. L’Alto commissario dell’Onu per i diritti dell’uomo ha salutato ieri con favore la decisione presa dal Consiglio di stato francese di sospendere l’ordinanza anti burkini di Villeneuve-Loubet, in Costa Azzurra. Ma a differenza di altre personalità politiche rincuorate dalla sentenza del più alto tribunale di giustizia amministrativa, si è spinto più in là, affermando che la decisione dei tre giudici del collegio esaminante è giusta perché i provvedimenti dei sindaci contro il burkini alimentano la “stigmatizzazione” dei musulmani. “Questi decreti non migliorano la situazione della sicurezza; tendono invece ad alimentare l’intolleranza religiosa e la stigmatizzazione delle persone di confessione musulmana in Francia, in particolare delle donne”, ha dichiarato l’Alto commissario onusiano tramite un comunicato. “I codici di abbigliamento, come i decreti anti burkini, colpiscono le donne e le ragazze in maniera sproporzionata e minano la loro autonomia, negando la loro capacità di prendere decisioni indipendenti sul modo in cui vestirsi”, ha aggiunto.
Secondo gli standard internazionali dei diritti dell’uomo, spiegano dal Palazzo di vetro, i limiti alla libertà di ogni persona di manifestare la propria religione e le proprie convinzioni, compresa la scelta degli abiti da indossare, “sono autorizzati solo in circostanze molto specifiche, come la protezione della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico, della sanità pubblica e della morale”. In più, le misure adottate in nome dell’ordine pubblico devono essere appropriate, necessarie e proporzionate, sottolinea l’Onu nel suo comunicato. Siamo d’accordo, ma se poi nello stesso comunicato si spiega che con la sentenza del Consiglio di stato si è messo fine alla “stigmatizzazione” dei musulmani allora si sbaglia bersaglio. Un conto è salutare positivamente una sentenza che sospende un decreto che minaccia le libertà individuali, ben altra cosa è tirare fuori la solita cantilena dell’islamofobia per mettere il bavaglio a chi pone in discussione alcuni aspetti dell’islam.