Il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Ginevra (foto LaPresse)

Come si esce dalla guerra in Siria?

Redazione
L’accordo America-Russia questa volta funzionerà o è destinato a naufragare? Esiste una chance di sbrogliare la situazione in Siria? Un manipolo di esperti ci risponde.

“What is Aleppo?”, chiede sbigottito il candidato presidenziale americano Gary Johnson in televisione. Quando si parla della guerra in Siria, però, siamo tutti in difficoltà. Le parti che si affrontano in campo formano una lista molto lunga: ci sono lo Stato islamico, i curdi, i gruppi dell’opposizione nazionalista, le fazioni islamiste, i russi, gli americani, gli iraniani, il governo del presidente Bashar el Assad, i libanesi di Hezbollah, lo Stato islamico, i gruppi di al Qaida (anche se si dichiarano “ex al Qaida”. E anche i dossier, che s’incrociano e s’accavallano, sono tanti e complicati: si va dal ruolo dell’islam politico alle armi chimiche, dal terrorismo in Europa alla tenuta del vecchio ordine mediorientale. Ieri in Siria alle sei italiane è cominciata una tregua nei combattimenti di sette giorni che dovrebbe preludere all’inizio di un accordo fra Russia e Stati Uniti e poi, chissà quando, a una road map per una pace che oggi sembra impossibile. Abbiamo chiesto e raccolto l’opinione di un manipolo di esperti per capire se esiste una soluzione alla guerra in Siria e se questo accordo russo-americano può funzionare. 

 


 

Serve un nuovo assetto strategico per il medio oriente

di Maurizio Molinari

 

La soluzione della guerra civile in Siria, iniziata nel 2011, passa attraverso l’accordo fra i paesi della regione che sostengono i principali contendenti. Ovvero, l’Iran alleato del regime di Bashar el Assad e il blocco sunnita, guidato da Arabia Saudita e Turchia, alleato dei principali gruppi anti regime. Poiché la Russia è l’unica potenza non regionale presente sul terreno con proprie truppe e in grado di dialogare con efficacia su entrambi i fronti, è un tassello cruciale delle possibile intesa. [continua]

 


 

Per uscire dalla guerra in Siria serve un modello Balcani

di Brett Stevens

 

A oggi, ci sono state 17 iniziative di pace per la Siria in meno di cinque anni. Il risultato è quasi cinque milioni di rifugiati, circa otto milioni di profughi interni e 400 mila morti. Perché il presidente Barack Obama pensa che un nuovo accordo per il cessate il fuoco dovrebbe riuscire dove tutti i precedenti hanno fallito? La mia idea è che non ci riuscirà, ma ancora una volta un gesto diplomatico è tutto quello che ti resta quando hai abbandonato la possibilità di usare la leva militare. Barack Obama lascerà la Casa Bianca tra pochi mesi, e la nuova Amministrazione avrà bisogno di una propria politica siriana. Il primo e fondamentale passo sarà rinunciare al “principio fondamentale” espresso l’anno scorso dal segretario di stato John Kerry e dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che “la Siria dovrebbe essere un paese unito”. [continua]

 


 

Per uscire dalla guerra in Siria serve aumentare la pressione militare

di Thanassis Cambanis

 

L’accordo tra America e Russia ha davanti a sé molti ostacoli. E’ difficile immaginare che i diversi attori del conflitto rispetteranno il volere dei loro sostenitori stranieri. Il governo in Siria storicamente non ha seguito gli ordini di marcia dei governi stranieri e dei movimenti che hanno consentito la sua sopravvivenza. E i gruppi di opposizione armata non sono monolitici. L’accordo è profondamente inefficace. Ma se regge, può sopravvivere abbastanza da catalizzare il processo politico che potrebbe portare alla fine della guerra. Temo che sia improbabile. Assad e i suoi sostenitori sono convinti di stare vincendo. Questo accordo allunga le aspettative di sopravvivenza di Assad, aprendo le porte a una transizione da lui guidata, che difficilmente avrà un qualche effetto concreto. [continua]

 


 

L’accordo Kerry-Trump

di Eli Lake

 

Se Donald Trump dovesse vincere le elezioni a novembre potrebbe nominare il segretario di stato John Kerry come suo inviato speciale per la cooperazione Russia-America sulla guerra al terrore. I due sono in disaccordo su molte cose, ma la loro politica siriana è sulla medesima linea d’onda. L’America e la Russia cercano da novembre di coordinare i loro strike aerei contro lo Stato islamico nei cieli affollati della Siria. Ma questo non è andato bene. La Russia continua a bombardare i gruppi dell’opposizione sostenuti dagli americani, gli obiettivi civili come gli ospedali e, a giugno, una base delle operazioni speciali americana. Ma Kerry è un diplomatico insistente, e con l’accordo di venerdì sta proponendo qualcosa che Trump ha invocato per più di un anno. [continua]

 


 

Manca ancora una vera soluzione politica

di Amedeo Ricucci

 

Fossimo ancora ai tempi della Guerra fredda non ci sarebbero dubbi sulla tenuta dell’accordo America-Russia sulla Siria. Ma quei tempi sono finiti, le “proxy war” sono diventate un esercizio assai più complicato e, soprattutto, il pantano siriano non è più una semplice guerra ma è diventato il terminale di più conflitti sovrapposti, con diversi attori locali e regionali, dagli obiettivi militari e dalle strategie politiche difficilmente addomesticabili. [continua]

 


 

Una Costituzione siriana decentralizzata

di Jihad Yazigi

 

La riorganizzazione della struttura politica della Siria creerà un paese che è molto differente da quello che esisteva prima della rivolta del 2011 e che è oggi sulla via del tramonto. I siriani, e con loro i loro partner internazionali, dovranno affrontare alcune domande difficili mentre cercano un modo per andare avanti. E’ ovvio, tuttavia, che non c’è la possibilità di tornare allo stato altamente centralizzato che esisteva prima del 2011. Questo fatto ha implicazioni significative nei tentativi di porre fine al conflitto. Finora gli sforzi internazionali hanno incentrato la loro attenzione sul perseguimento di un accordo di condivisione del potere negoziato a livello del potere centrale tra i rappresentanti del governo e dell’opposizione. [continua]

 


 

Perché non bisogna fidarsi di Putin e Assad

di Michael Weiss

 

Nella tarda estate del 2011, il presidente Barack Obama dichiarava “illegittimo” il governo di Bashar el Assad e gli diceva che era tempo di “farsi da parte”. All’inizio dell’autunno del 2015, i funzionari americani ridevano schernendo l’inatteso intervento militare di Vladimir Putin in Siria, descrivendolo come un incidente in attesa di danneggiare la Russia. Oggi, il segretario di stato John Kerry ha legittimato a livello formale l’esercito di Assad delimitando le sue zone di combattimento, e ha accolto l’aviazione russa come un possibile partner in una guerra sempre più complessa e confusa contro lo Stato islamico e al Qaida, due organizzazioni terroristiche separate e in competizione. Quest’ultimo gruppo, inoltre, spesso si intreccia con i ribelli sostenuti dagli Stati Uniti. [continua]

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