La guerra dell'Italia al traffico di droga che finanzia il Califfato
In un’inchiesta del New York Times si spiega come il commercio illegale di hashish e di armi si intreccino tra le sponde del Mediterraneo.
Dal 2013 la rotta del traffico di droga verso l’Europa è cambiata: l’hashish non segue più il percorso più breve, cioè dal Marocco alla Spagna passando per lo Stretto di Gibilterra. Ora attraversa la Libia, poi l’Egitto e infine approda in Europa attraverso i Balcani. Il New York Times, in un lungo articolo a firma Rukmini Callimachi e Lorenzo Tondo, ha percorso la nuova rotta che congiunge i due lati del Mediterraneo. I primi sospetti, racconta il quotidiano americano, sono nati quando gli investigatori dell’unità antidroga italiana hanno intercettato, nell’arco di trentadue mesi a partire dall’aprile 2013, venti cargo che navigavano in acque internazionali a sud della Sicilia, cento miglia a est rispetto alla rotta usuale verso la Spagna. All’interno delle navi sono state trovate complessivamente più di 280 tonnellate di droga, per un valore di 2,8 miliardi di euro. A testimonianza che, oltre alla rotta, è cambiata anche la modalità di trasporto, dato che un tempo l’hashish giungeva in Europa in quantità abbastanza piccole da poter essere nascoste all’interno di una moto d’acqua. Ora invece si utilizzano navi grandi e capienti quanto un campo da calcio e con l’aumento della quantità di droga trasportata, diminuisce la frequenza dei viaggi.
Si ipotizza che il mutamento della rotta sia legato a due eventi. In primis, quando nel 2007 l’Unione europea incrementò i controlli lungo le coste meridionali della Spagna riuscendo così a intercettare un numero più elevato di navi dei trafficanti. In seguito, con la deposizione del dittatore libico Gheddafi nel 2011, il paese è sprofondato nella guerra civile che perdura ancora oggi e i trafficanti hanno approfittato del vuoto di potere: è da Tripoli che passano le principali rotte della droga.
Quella dell’hashish, in particolare, passa attraverso territori controllati dallo Stato islamico e per l’unità antidroga italiana l’economia del Califfato trae beneficio dal traffico illecito e impone una tassa sul passaggio della droga. Questa fonte di sostentamento economico dell’Isis è già consolidata in Siria e Iraq, dove, secondo uno studio dell’IHS Country Risk, il 7 per cento delle entrate dell’organizzazione terroristica dello scorso anno provengono dalla produzione, tassazione e traffico di droga. Non si sa esattamente su quali territori si applichi questa tassa, né si può essere certi del ruolo dell’Isis nella gestione delle navi. Si sospetta però che la droga rientri in uno schema più ampio che include anche il traffico di armi. Negli ultimi mesi, tuttavia, l’indagine italiana è entrata in una fase di stallo. Nel 2016, finora, non sono state intercettate altre navi lungo il percorso, ma gli investigatori credono che la rotta sia ancora in uso.
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