Appunti e lezioni all'Europa dai Tory inglesi. Girotondo d'opinioni
La transizione tra David Cameron e Theresa May è stata dolorosa, il negoziato sulla Brexit non è ancora iniziato ma si mostra già complicato, l’insofferenza registrata nel referendum di giugno non accenna a diminuire. Sul continente europeo tutte le destre stanno cercando un modo per arginare i populismi e allo stesso tempo restaurare un’idea di destra che tenga conto della generale impazienza elettorale nei confronti dei partiti tradizionali. Abbiamo chiesto a politici ed esperti inglesi come interpretano la visione politica del premier May e che lezioni si possono trarre a livello europeo da questa svolta del conservatorismo britannico. Ecco quel che ci hanno risposto nel nostro girotondo d’opinioni.
Un ritorno agli anni Cinquanta
Theresa May si sta dimostrando una conservatrice più tradizionale di quanto molti pensassero. Mettendo come priorità il controllo delle frontiere britanniche più che la battaglia per un accesso senza restrizioni al mercato unico europeo, il premier si rivela più nazionalista che neoliberale. E segnalando l’intenzione di tornare al sistema in cui i ragazzini di undici anni fanno un test che determina la loro possibilità di accedere a una “grammar school” (per il 25 per cento dei migliori) o a una meno vantaggiosa “secondary modern school” (per il restante 75 per cento), la May sembra più determinata a premiare abilità (e l’assistenza dei genitori!) che a creare un sistema che funzioni per la grande maggioranza dei ragazzi. Questo approccio partigiano e “old fashioned” è in contrasto con quel che May propose cento giorni fa entrando a Downing Street. Allora si dipinse come una centrista, interessata in modo genuino ad aiutare i cittadini, ad affrontare le sfide sociali ed economiche di un mondo globalizzato. Ora sembra che voglia riportare il tempo indietro agli anni 50. Poiché questo è quel che vogliono molti degli elettori dell’Ukip, questa strategia sembra fatta apposta per riportare ai Tory questi elettori, soprattutto ora che la Brexit è una realtà e il leader dell’Ukip, Nigel Farage, è in pensione. Questa non è necessariamente una ricetta per il successo nel lungo periodo che può essere adottata dai partiti di centrodestra in Europa. La popolazione britannica, ora che le persone più anziane che tendono all’autoritarismo e al nazionalismo diminuiscono, sta diventando più liberale e multiculturale. E non è detto che abbiano voglia di accettare un sistema di istruzione che esclude buona parte degli studenti perché non troppo di successo quando sono soltanto dei teenager. Ho qualche dubbio che la May possa dare qualche lezione utile su come governare i populismi. Da una parte i sostenitori dei partiti populisti sul continente non sono anziani, in media, come quelli dell’Ukip, pure se molti di loro sono allo stesso modo appartenenti alla working e lower-middle class. Dall’altra, come il partito della May ha già scoperto, fare promesse sull’immigrazione che non puoi mantenere (cosa che lei continua a fare) è una cattiva idea – spinge soltanto la questione in cima all’agenda e dà più sostegno alla destra più radicale. Rischia però di alienare la comunità del business, e delle chiese. La seconda in realtà non importa così tanto per il centrodestra inglese, ma in altri paesi europei, in Italia e Germania in particolare, ha molto peso. Questo dovrebbe far riflettere i partiti di centrodestra europei prima di considerare la May un esempio scintillante.
Tim Bale è professore di Politics alla Queen Mary University di Londra
La priorità di un sistema equo
Sono tempi emozionanti per i Tory e per il Regno Unito. Dobbiamo dimostrare di essere un governo competente che può realizzare la volontà popolare senza perdere di vista le riforme economiche e sociali per creare un paese di cui tutti si sentano parte. Theresa May ha seguito Cameron sulle grandi linee, ma ha mostrato di avere le sue idee: ad esempio vuole tornare ai sistemi selettivi di istruzione per cercare di dare più possibilità a tutti e risolvere il problema delle disuguaglianze. Resta vincolata dal programma elettorale del 2015, la gente si aspetta che lo rispetti. L’immigrazione è l’aspetto centrale dei negoziati per uscire dalla Ue. Anche se porta dei benefici – il servizio sanitario nazionale crollerebbe domani senza personale straniero – negli ultimi decenni sono aumentate le preoccupazioni su come controllarla. Anche se la disoccupazione a livello nazionale è ai minimi, nel nord del paese, nelle zone dove la Brexit ha vinto, c’è un grande scontento verso l’immigrazione e di questo bisogna tenere conto. Molte persone non accetterebbero un accordo con Bruxelles che prevedesse la libera circolazione in cambio dell’accesso al mercato unico. E’ la sfida principale. Da sei anni a questa parte ci sono già molte restrizioni sull’immigrazione extra-Ue. I dati dicono che il sistema universitario crollerebbe senza studenti stranieri, ma la gente, fuori da Londra, non vede gli studenti stranieri, vede le conseguenze di una migrazione non qualificata su larga scala. La May deve portare avanti il progetto della Northern Powerhouse per far tornare le città del nord ai fasti dell’epoca vittoriana. La gente deve pensare di vivere in un sistema equo e non in una società centrata su Londra con ampi pezzi del paese lasciati indietro. Se non succede, cresceranno i sentimenti anti immigrati. Per tenere a bada l’estrema destra e il populismo, il governo deve acconsentire a tenere un dibattito onesto sull’immigrazione. Prima che i conservatori andassero al potere nel 2010, c’erano stati i laburisti con Blair e Brown per 13 anni e la gente pensava di non poter parlare, si sentivano trattati da razzisti. E’ in quel periodo che Nick Griffin, leader del British National Party, è diventato deputato al Parlamento europeo e che il partito ha ottenuto molti consiglieri locali. Con i Tory il Bnp è sparito ed è emersa una versione leggera, l’Ukip, che è anti immigrazione, ma soprattutto contro l’Europa. Il fatto che l’Ukip e i partiti di destra si siano silenziati dopo il referendum la dice lunga. Hanno perso il loro motivo di essere.
Andrew Stephenson, 35 anni, da sei è deputato di Pendle, al nord di Manchester. E’ il segretario parlamentare di Boris Johnson, ministro degli Esteri
Più pragmatismo che coraggio
I populisti devono essere affrontati “di petto”. I partiti populisti costruiscono il loro consenso con la promozione del mito della disuguaglianza, della povertà e della disoccupazione. Certo, ci sono paure e insicurezze reali, ma è fondamentale comprendere le cause dei problemi economici e sociali per affrontarli in maniera efficace. Negli ultimi anni i Tory hanno mostrato una mancanza di coraggio politico, specie se attaccati da sinistra: hanno spesso scelto di ricalibrare le loro politiche nella direzione degli avversari piuttosto che sostenere le proprie ragioni. Ciò è stato evidente in settori come la regolamentazione del mercato del lavoro, l’assistenza all’infanzia e gli aiuti allo sviluppo. Al contrario, il partito non ha reagito allo stesso modo sul libero scambio – anche se la retorica e il dibattito sulla materia spesso si mescolano con l’immigrazione. Come sarà Theresa May? Ho il sospetto che si comporterà allo stesso modo. Non è famosa per trarre conclusioni politiche da principi forti. E’ un conservatore pragmatico, nel solco dei Tory degli anni 50. E’ molto difficile sapere che cosa questo può significare per la politica britannica dei prossimi anni. A volte le riforme nascono dove meno te lo aspetti. Forse estenderà la possibilità di scelta e i finanziamenti privati nel settore sanitario o forse toccherà qualcosa sulle leggi di pianificazione del Regno Unito che condannano i giovani e i poveri a una vita fatta di costi immobiliari insostenibili. May (o il suo cancelliere Philip Hammond) potrebbe semplificare parte della complessa materiale fiscale, folle e inefficiente, ereditata dai suoi predecessori. Ma la May non difenderà il mercato e il liberalismo e la ricchezza ampiamente distribuita che essi generano. Non sperate di avere trovato un’altra Thatcher. Questa può essere più una cattiva notizia che una buona, ma non è impensabile che lei possa, in alcune aree, ripristinare un limite alla continua espansione dello stato.
Philip Booth è direttore della ricerca dell’Institute of Economic Affairs e professore alla St. Mary’s University di Twickenham
La missione della riconciliazione
Quando Theresa May è stata nominata premier britannico, sono inevitabilmente piovuti i paragoni con Margaret Thatcher. Ma a parte il fatto che sono due donne toste ed entrambe Tory, May e la Thatcher appartengono a mondi molto diversi. La Lady di Ferro era ispirata da principi liberisti, la May è un’esponente del cosiddetto “conservatorismo compassionevole”, e questo si è capito fin dalle sue prime parole. Si è rivolta alla working class, promettendo quella giustizia sociale che molti, non solo nel Regno Unito, chiedono con insistenza. Negoziare il divorzio dall’Ue sarà tra i compiti più delicati che attendono la May. La sua è innanzitutto una missione di riconciliazione. C’è da ricucire lo strappo aperto dal referendum all’interno dell’elettorato britannico, e c’è da tenere insieme un governo (e un partito) i cui pesi massimi hanno idee talora piuttosto divergenti sul modello di Brexit da perseguire. L’immigrazione sarà il tema più dibattuto perché, piaccia o meno, ha in larga misura determinato l’esito del referendum. Cosa fare? Tutta Europa si sta interrogando. L’ex presidente Nicolas Sarkozy, in Francia, pare inseguire l’elettorato che guarda al Front National, provando a combattere sullo stesso terreno. Il rischio è evidente: tra l’originale e la copia, gli elettori spesso finiscono per scegliere il primo. La cancelliera tedesca Angela Merkel, invece, non si muove dalle proprie posizioni: ha deciso di applicare una politica d’accoglienza e continua a farlo. Ha ammesso che il governo è stato colto impreparato da un’emergenza su così vasta scala, ma non ha rinnegato le scelte fatte. In altre parole, non tutta la destra in Europa si sta spostando ancor più verso destra. E non ritengo lo stia facendo Theresa May. La volontà di limitare la libera circolazione delle persone non è un occhiolino agli elettori dell’Ukip – bensì la messa in pratica del mandato consegnatole dalla maggioranza dell’elettorato britannico nel referendum di giugno.
Vincenzo Scarpetta è senior policy analyst del think tank Open Europe di Londra
Una visione illuminata per l’Europa
Theresa May sta seguendo la volontà del popolo britannico. Non solo la Brexit è un evento storico, ma significa anche che il Partito conservatore ha ripudiato la sua vecchia posizione a favore dell’Europa, quella di John Major e di David Cameron, che gli ha fatto perdere voti a favore di Ukip. Essere tornati alle radici conservatrici, che sono la democrazia e il fatto di non essere governati da altri, è molto liberatorio e sarebbe utile anche per altri paesi. Sull’immigrazione, ad esempio, avremmo presto una legge nostra che sia aperta e tollerante, ma che affronti il problema dei numeri, letteralmente fuori controllo. Siamo uno dei paesi più generosi e aperti del mondo, non siamo mai stati invasi e abbiamo vinto due guerre contro la Germania. Per questo non abbiamo alcuna intenzione di restare in un’Europa scadente governata dalla Germania. L’Ue non è una visione, ma un fatto pratico che condiziona tutto e di cui solo Berlino beneficia. La May è meno vincolata dalla sua provenienza rispetto al suo predecessore, è molto più liberale in termini di riforme sociali e sta dimostrando una vera comprensione di cosa significa essere conservatori, ossia portare avanti i cambiamenti necessari in modo da ottenere la stabilità. Servono riforme di buon senso, pratiche, adatte ai tempi, basate sulla legalità e sul rispetto della Costituzione, fatte con equanimità, tolleranza e solidi principi. Il libero scambio deve essere sempre al centro delle politiche conservatrici, perché non si può avere un’economia forte se bisogna seguire le regole degli altri, ma se non hai un’economia forte non puoi pagare i servizi pubblici. Il populismo è una questione di carattere nazionale, e gli inglesi non ce l’hanno nel sangue, come dimostra il fatto che l’Ukip ha soltanto un deputato. William Pitt, dopo la battaglia di Trafalgar, disse che “l’Inghilterra si è salvata con i suoi sforzi e salverà l’Europa con il suo esempio”. E dai tempi della ribellione contro Major, l’euroscetticismo si è diffuso dall’Inghilterra a altri paesi. Il conservatorismo è vivo e vegeto.
Bill Cash è deputato Tory dal 1984, euroscettico della prima ora, guidò la ribellione di Maastricht contro John Major
L’argine al populismo
L’ascesa dell’Ukip può essere spiegata quasi interamente dalle preoccupazioni della piccola borghesia e della classe operaia per l’immigrazione. L’Ukip è, dopo tutto, un partito prevalentemente inglese. L’opposizione all’immigrazione non riflette prevalentemente paura per questioni di razza, cultura o identità. Piuttosto riflette la preoccupazione dell’opinione pubblica per l’impatto che gli ingressi possono avere sui posti di lavoro e sull’accesso ai servizi pubblici. Ora che stiamo lasciando l’Ue, con la Gran Bretagna nel pieno controllo dei suoi confini, i Tory hanno la possibilità di schiacciare l’Ukip semplicemente rallentando il flusso di immigrazione. Ma i conservatori correranno questo rischio? Non è ancora chiaro. La maggior parte dei politici conservatori di alto livello ha fatto campagna per rimanere nell’Ue – e alcuni di questi si stanno ora chiedendo se la Gran Bretagna può mantenere il suo accesso al mercato unico pur essendo formalmente al di fuori dell’Ue. Questi politici non hanno mai voluto ridurre davvero l’immigrazione. Gli strumenti che ora hanno a disposizione gli sono stati consegnati contro la loro volontà dal popolo inglese. Se la Gran Bretagna lascerà velocemente l’Ue e l’immigrazione rallenterà, l’Ukip perderà gran parte della sua forza attrattiva. Questo vale soprattutto se il governo si impegnerà a ridurre limmigrazione da paesi extra europei. Se non lo dovesse fare, l’Ukip potrebbe diventare una formidabile forza politica che riesce a conquistare regolarmente il 20 per cento del voto nazionale. L’incompetenza dell’Ukip come partito non conta – la gente sarà felice di votarlo per protesta.
James Frayne è direttore di Public First e columnist di ConservativeHome. Già direttore della sezione Policy & Strategy di Policy Exchange e direttore delle comunicazioni del dipartimento dell’Istruzione
May contro il liberismo sfrenato (per fortuna)
Il futuro politico dell’occidente nato dalla Seconda guerra mondiale è ora oggetto di sfide e disordini senza precedenti: una nuova maggioranza alienata ed emarginata è emersa. Se la politica tradizionale non riuscirà ad adattarsi a questa nuova realtà sarà superata dai partiti populisti radicali in rivolta. Perché è successo questo? Perché l’agenda convenzionale, sia a sinistra sia a destra, degli ultimi 30 anni è stato il liberismo estremo. Abbiamo avuto il liberalismo sociale estremo della sinistra con il suo multiculturalismo e la negazione dei valori occidentali fondamentali che sfocia sconsideratamente nella difesa dell’immigrazione di massa; e abbiamo anche sofferto il liberalismo economico estremo della destra che ha fatto a pezzi la sicurezza economica della classe operaia e orientato ricchezza e potere verso il vertice della società. Una politica di massa che abbia successo non può più stare sotto la bandiera liberale – il futuro è post liberale. Con la May possiamo vedere il primo segnale di un grande partito politico convenzionale che si sta adattando alla nuova realtà e tenta di scongiurare l’estremismo politico. Lei ha riconosciuto il pericolo dell’immigrazione di massa e il suo potenziale di destabilizzazione delle società. La May vuole difendere sia i valori sia la sicurezza britannici e ciò viene accolto con costernazione dai liberal, ma gioca sui timori ragionevoli e le intuizioni della popolazione secondo cui l’immigrazione incontrollata è una minaccia. La May e i conservatori devono ora guardare all’insicurezza economica e trovare un modo affinché capitalismo e globalizzazione possano dare risposte all’insicurezza e alla povertà. Questi sono i compiti di qualsiasi grande partito: preservare e conservare il patrimonio culturale, garantire la sicurezza economica e sostenere con forza la classe povera ed operaia.
Phillip Blond è direttore del think tank ResPublica e teorico del “Red Toryism”, il conservatorismo comunitario
L’anticorpo di May e il pericolo al nord
Quando la May è diventata premier, sono cambiati le priorità e l’ordine sociale dei Tory. I giovani, intelligenti e privilegiati ragazzi del “Notting Hill set” e del Bullingdon Club di Oxford sono stati espulsi con l’eccezione di Boris Johnson, sostenitore del “leave” che la May si tiene vicino per difendersi da chi le dice che non persegue una Brexit sufficientemente dura. Così il conservatorismo individualistico benpensante di David Cameron è stato smantellato, assieme alle sue strategie per la giustizia, il cambiamento climatico e la mobilità sociale, assieme al suo istinto alla decentralizzazione e all’investimento in infrastrutture per le regioni del nord. Ora c’è un approccio più tradizionale, sotto la direzione dell’ideologo di riferimento, il chief of staff di May Nick Timothy. Al posto dei liberal urbanizzati con una coscienza sociale cui faceva riferimento Cameron, Timothy si preoccupa della classe meno abbiente delle periferie che abita nelle città industriali di tutto il paese. La May sostiene un’istruzione selettiva (ma quasi sicuramente non avrà su questo la maggioranza ai Comuni), una politica industriale interventista, protezioni contro la globalizzazione e una politica contro le diseguaglianze. In questo senso, i Tory della May sono messi meglio per assorbire ed evitare il populismo che sta dilagando in Europa. Il premier è insofferente nei confronti dell’agenda internazionalista dei più urbanizzati e si dedica a chi si sente escluso dalle élites. E’ più vicina a questi elettori di quanto non lo siano tutti i partiti dell’opposizione. Ma c’è un caveat importante. Sin dalle riforme della Thatcher negli anni 80, i Tory sono percepiti come tossici in molte aree del paese, inclusi il nord dell’Inghilterra post industriale e la Scozia. E’ ancora da capire se il nord dell’Inghilterra, dove la Brexit ha ottenuto il suo maggior successo, sarà ricettivo nei confronti della May, visto che qui molti partiti populisti vogliono approfittare del collasso del Labour e visto che sempre qui il Labour, se vuole riprendersi, deve ricominciare la sua battaglia.
Kieron O’Hara è professore associato di informatica all’Università di Southampton, ricercatore al Centre for Policy Studies e autore di diversi scritti sul conservatorismo britannico
(a cura di Paola Peduzzi, con la collaborazione di Gabriele Carrer e Cristina Marconi)
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