A Santos un premio Nobel sulla fiducia
Quando Alfred Nobel istituì in maniera postuma il premio che porta il suo nome, chiese che fosse assegnato a persone che avrebbero apportato “considerevoli benefici all’umanità”. Difficile dunque negare che la pace tra il governo della Colombia e il gruppo armato guerrigliero delle Farc, protagonisti di una guerra durata oltre cinquant’anni che ha provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati, sarebbe stato un beneficio considerevole per l’umanità – e che anzi, sarebbe stato una delle migliori notizie di questo 2016.
Quest’anno, dunque, nessun premio Nobel per la Pace sarebbe stato più giustificato di quello assegnato ieri a Juan Manuel Santos, il presidente colombiano che per l’accordo di pace con le Farc ha in più di un caso messo in gioco la sua stessa carriera. Peccato però che la pace tanto agognata non sia mai arrivata. Domenica scorsa i colombiani hanno rifiutato con un referendum l’accordo già firmato da Santos e dalle Farc in pompa magna, e ora il processo di pace, che era durato quattro anni e aveva incontrato infiniti ostacoli, è tutto da rifare. Ringraziando per il premio, Santos ha detto che la pace è “vicinissima”, ma bisogna fare un discreto salto logico per giudicare una pace vicinissima come qualcosa di più che una promessa tutta da dimostrare. Certo il risultato a sorpresa del referendum deve aver colto impreparato il comitato di Oslo, ma quello a Santos sembra l’ennesimo Nobel per la Pace assegnato sulla fiducia più che sui risultati. Nel 2009 anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ricevette il Nobel allo stesso modo. Sappiamo com’è andata a finire.