L'altra dottrina Donald
Il governo polacco telecomandato da Jaroslaw Kaczynski non lo vuole più a Bruxelles e minaccia di incriminarlo. Matteo Renzi quando lo vede diventa insofferente per la rigidità tipica degli europei dell’est e il suo disinteresse nei confronti del Mediterraneo. Jean-Claude Juncker ci convive a fatica perché è espressione di un mondo e di un’Europa più nuovi di quelli in cui è cresciuto il presidente della Commissione. Ma, nonostante qualche difetto, Donald Tusk si sta rivelando un vero leader politico alla presidenza del Consiglio europeo. E non solo perché ha rotto con la tradizione imposta dal suo predecessore, Herman Van Rompuy, di fare del presidente del Consiglio Ue un semplice mediatore tra Berlino e Parigi prima, e tra tutti gli altri poi.
Una sintesi della “dottrina Donald” – l’opposto dell’omonimo americano – si trova in un discorso pronunciato giovedì davanti all’European Policy Centre. La realtà è che l’unica alternativa alla “hard Brexit” è la “no Brexit”, ha detto Tusk: occorre dunque lasciare ai britannici la possibilità di cambiare idea. Evitando di sbattere la porta, il presidente del Consiglio europeo si distingue da chi – come Juncker o François Hollande – mostra solo sentimenti di vendetta o il desiderio di sgraffignare qualche banca alla City di Londra. La “dottrina Donald” è incentrata sulla lotta ai populisti della politica post verità, che “si legano a Putin e sostengono Trump” e costituiscono la vera minaccia “ai nostri valori tradizionali” e al “nostro modo di vivere”: democrazia, stato di diritto, diritti umani.
La democrazia liberale – ha spiegato Tusk – deve rifiutare la narrativa del declinismo e della decadenza dell’Europa e dell’occidente, perché “abbiamo costruito un mondo che, malgrado le sue imperfezioni, è ancora il migliore dei mondi”. Per Tusk, occorre reagire e smettere di subire passivamente, riprendendo il controllo delle frontiere esterne, adottando strumenti commerciali forti, tenendo testa a Vladimir Putin in Ucraina e Siria. “La liberal-democrazia senza forza è impotente, perfino patetica”, ha avvertito Tusk. A fine anno i Ventotto devono decidere se rinnovargli il mandato per altri due anni e mezzo. Nella crisi di idee che vive l’Ue, servono “two and half more years” di Tusk.