Pure il Giappone molla l'Unesco
Il ministro degli Esteri giapponese, Fumio Kishida, ha detto durante una conferenza stampa il 14 ottobre scorso che il governo di Tokyo non ha ancora deciso se sospendere o meno il suo annuale contributo all’Unesco. In effetti, quello per il 2016 (37 milioni di dollari) non è stato ancora effettuato, e sulla stampa asiatica sono iniziate a circolare molte voci, non smentite da Tokyo (un silenzio che in certi casi vale come una conferma). Il motivo? Lo scorso anno l’Unesco ha inserito nel programma “Memoria del mondo” alcuni documenti che aveva presentato la Cina, riguardanti quello che viene definito “il massacro di Nanchino”. Alla fine della Seconda guerra mondiale, il Tribunale militare internazionale per l’Estremo oriente accertò la morte di duecentomila persone durante l’occupazione nipponica, e ci furono alcune condanne per i crimini di guerra compiuti dall’esercito imperiale a partire dal 1937, quando i giapponesi invasero l’allora capitale cinese Nanchino.
Ancora oggi il ricordo di quell’evento rinvigorisce sentimenti nazionalistici sia in Cina sia in Giappone. Mentre alcuni tra i falchi conservatori in Giappone negano che sia stato un massacro ma si riferiscono a quello di Nanchino come a un “incidente”, è soprattutto la Cina che, ancora oggi, tenta di strumentalizzare il triste ricordo in chiave politica antigiapponese. Quando, esattamente un anno fa, l’Unesco ha accettato nella “Memoria del mondo” i documenti cinesi, il capo di gabinetto di Shinzo Abe, Yoshihide Suga, ha minacciato l’uscita del Giappone dal programma Onu: “Il governo giapponese chiede equità e trasparenza nel programma dell’Onu, in modo che non venga utilizzato per scopi politici”. L’Unesco, in effetti, non ha dato la possibilità al governo di Tokyo di valutare i documenti prima che entrassero nella lista della “Memoria del mondo”. Il caso tra Cina e Giappone è ovviamente molto lontano da quello israeliano, ma offre la stessa morale: l’Unesco ancora una volta si dimostra incapace di “costruire la pace”, ma attraverso atti, che sono di fatto politici, appoggiati dai potenti, oltre a ridicolizzare le istituzioni internazionali contribuisce a riaccendere le ostilità tra i paesi.