L'involuzione della dittatura venezuelana
Centinaia di sgherri armati del regime chavista hanno fatto irruzione domenica nel palazzo del Parlamento di Caracas, in Venezuela, mentre l’assemblea era riunita. Con mazze e armi da fuoco, hanno malmenato parlamentari dell’opposizione e giornalisti, e distrutto tutto quello che incontravano davanti a sé. Anche per gli standard di emergenza permanente cui il Venezuela ha abituato il mondo ormai da anni, gli ultimi giorni costituiscono un picco di violenza e degrado delle istituzioni. Il regime di Nicolás Maduro, messo all’angolo da una maggioranza parlamentare che gli è ostile e soprattutto da una crisi economica e umanitaria che ormai è impossibile nascondere, sta mettendo in atto un programma di repressione e intimidazione ancora più violento del solito, di cui l’invasione del Parlamento è solo il fenomeno più evidente.
La settimana scorsa, il regime ha usato tribunali fedeli per impedire la raccolta di firme organizzata dall’opposizione per chiedere la rimozione del presidente, e contemporaneamente, trovandosi impossibilitato a vincere le elezioni regionali previste per l’inizio dell’anno prossimo, le ha cancellate d’imperio. “Il Venezuela ormai è una dittatura a tutti gli effetti”, ha scritto nel fine settimana il Washington Post, e viene da chiedersi di cos’altro ci fosse bisogno per definirla tale. Come se l’arresto degli oppositori politici, la repressione costante della libertà d’espressione, l’asservimento dei media, il culto della personalità del leader spinto ai massimi e soprattutto una crisi umanitaria che rivaleggia per gravità e orrore con quelle dei paesi mediorientali colpiti dalla guerra non fossero già abbastanza.