Premio Sakharov a due sopravvissute yazide contro il genocidio Isis
I miliziani dello Stato islamico rapirono Nadia Murad dalla sua casa nel villaggio di Kocho, vicino al monte Sinjar, in Iraq. La portarono a Mosul, la capitale del Califfato, dove la torturarono e stuprarono. Quando finalmente riuscì a fuggire, aveva perso sei fratelli e sua madre, tutti uccisi dalla ferocia degli islamisti. Anche Lamiya Aji Bashar era del villaggio di Kocho. Quando i miliziani dello Stato islamico la catturarono, aveva solo sedici anni. Tentò di scappare infinite volte, ma rimase in prigionia per oltre 20 mesi prima di riuscire a fuggire. Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar sono due sopravvissute del genocidio degli yazidi, minoranza religiosa che, a partire dal 2014, è stata oggetto di stermini di massa da parte dello Stato islamico.
A Sinjar, luogo d’origine della comunità yazida, gli islamisti hanno lasciato dietro di sé spaventose fosse comuni con migliaia di cadaveri di uomini, vecchi e bambini. Le donne, come Nadia e Lamiya, erano invece prese come trofeo di guerra. Giovedì le due sopravvissute yazide, che dopo la loro liberazione hanno raccontato la condizione orribile della comunità yazida in medio oriente, sono state insignite dall’Europarlamento con il premio Sakharov, la massima onorificenza europea per i difensori della libertà d’espressione. L’Ue non è riuscita a rimanere esente da polemiche, visto che tra i candidati al premio c’era Mustafa Dzhemilev, rappresentante dei tartari nella Crimea occupata: un premio a lui avrebbe indispettito la Russia. Ma la scelta delle donne yazide mette tutti d’accordo: è una testimonianza forte e necessaria contro gli orrori dello Stato islamico.