Un Foglio internazionale
Il voto dell'America sulla propria libertà
"Il prossimo 8 novembre, gli elettori americani, recandosi alle urne, dovranno rispondere a una domanda vecchia di duecentoventinove anni: “Quali politiche hanno più probabilità di assicurare la nostra libertà e prosperità e quale dei candidati è più propenso a sostenere e attuare tali politiche?”. Tutto qui, scrive Jack David sull’ultimo numero della National Review. E’ la domanda delle domande, quella che “avevano davanti a loro i Padri fondatori” nel 1787. E’ questione di storia: dopotutto, quegli uomini decisero che per il bene loro, delle rispettive famiglie e della società generalmente intesa, sarebbe stato opportuno sciogliere ogni legame politico con il re d’Inghilterra. Solo così avrebbero potuto rivendicare le verità “auto-evidenti” in cui credevano, e cioè che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal Creatore di alcuni diritti inalienabili e che fra questi diritti vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Il modello che nacque fu quello “dell’autogoverno, che è riuscito così bene nel dare al popolo la certezza della libertà e della sicurezza al punto da essere stato emulato in tutto il mondo. Tuttavia – nota David – potremmo non essere in grado di sostenere ancora per molto tempo quel modello”.
In gioco c’è addirittura la Costituzione, i suoi princìpi fondanti “attaccati da ogni parte, in patria e all’estero”. Tutti i suoi nemici hanno una cosa in comune: “Sostituire la loro volontà, la loro potenza e stabilire restrizioni sul modo in cui gli individui possono scegliere di esercitare i rispettivi diritti inalienabili per perseguire la felicità”. La National Review passa in rassegna le minacce esterne vere o presunte, dalla Russia all’Iran e alla Cina che forse vorrebbero un ritorno alla “legge della giungla”, il ruolo internazionale degli Stati Uniti faro di libertà nel mondo declinato a seconda delle diverse (e spesso opposte) dottrine ideologiche e di politica internazionale. Ma il problema vero, scrive David, è che “ci sono anche potenti attori nazionali che desiderano essere liberi dagli obblighi imposti dallo stato di diritto previsti dai nostri padri fondatori”.
Qualche esempio? “Il presidente Obama ha ripetutamente cercato di usare ciò che egli definisce ‘l’autorità esecutiva’ di governare quando ritiene di non poter persuadere il Congresso a dargli l’autorità legale per agire”. Lo stesso discorso vale per le agenzie amministrative, “che hanno agito al di là di qualunque autorità legale che il Congresso e la Costituzione ha dato loro”. Ecco perché la questione, mai come stavolta centrale, è “se saremo in grado di mantenere la repubblica che ci è stata data dai Fondatori. Il modo in cui si voterà l’8 novembre potrebbe essere determinante. Da parte mia – scrive Jack David – sono giunto alla conclusione che il signor Trump sosterrà e difenderà la Costituzione e lo stato di diritto, mentre le parole e le azioni della signora Clinton rendono certo che se eletta minerà sia la Costituzione sia lo stato di diritto per i suoi fini politici”.
I conservatori inglesi