L'assurda indignazione permanente
I limiti di chi non vuole accettare il fatto che Trump è presidente.
Il mondo liberal americano e globale non si è ancora rassegnato alla vittoria elettorale di Donald Trump. Ripete che Hillary ha vinto il voto popolare – quasi due milioni di voti in più rispetto al neo presidente, al momento, e circolano già le statistiche che dimostrano che l’ex first lady ha preso più voti complessivi di almeno sette candidati che poi sono diventati presidente – e che il sistema elettorale americano dovrebbe essere aggiustato, così come i giornali di orientamento democratico si riempiono di analisi e riflessioni su quanto i meccanismi di voto in tutto il mondo sviluppato siano diventati nel tempo poco rappresentativi. Le piazze restano piene nelle città cosiddette aperte, mentre i vari leader democratici si destreggiano tra inevitabili abboccamenti con il prossimo inquilino della Casa Bianca e dichiarazioni a schiena dritta. Peggio della vittoria di Trump c’è soltanto l’educazione alla convivenza con questa realtà ineluttabile: si diventa traditori se non si persegue con determinazione antidemocratica la stretta logica del “stay outraged”, dell’indignazione permanente, del rifiuto di ogni genere di normalizzazione della leadership trumpiana. I parlamentari e leader democratici devono trovare un equilibrio che forse non esiste: un esempio per tutti è Bill de Blasio, sindaco di New York. E’ alle prese con un problema di sicurezza gigantesco alla Trump Tower che rimarrà residenza della first lady Melania e allo stesso tempo incontra il nuovo presidente ma si premura di ricordare che farà in modo di rendere Trump “accountable”. Anche il presidente in carica Barack Obama, che prova a evitare le critiche rilasciando interviste sulla sua visione del mondo, dice che è pronto a violare la regola secondo cui un ex presidente non interviene troppo sull’operato del suo successore nel caso in cui si renderà necessario un appello per fermare le follie trumpiane. L’argine democratico lavora così, insomma, fuori dalle urne dove non è riuscito nell’intento di eleggere un democratico ma costruendo una serie di lacciuoli più o meno indignati per tenere bloccato Trump.
Non sta a noi stabilire se la normalizzazione del presidente americano sia probabile o possibile: raccontiamo quel che vediamo, la confusione nei toni e nei tweet e negli incontri che saltano e si rifissano nel giro di poche ore, cercando di alzare lo sguardo e provare a intendere che genere di team e di approccio Trump vuole delineare. Ma la filosofia dello “stay outraged” che anima anche i tentativi spesso goffi degli inglesi che non si rassegnano alla Brexit mostra già molte delle sue assurdità: la protesta si fa andando a votare, creare un regime di anormalità permanente a urne chiuse e a risultato annunciato non fa bene a nessuno, non all’America, non all’Europa.