Con John Glenn se ne va l'ultimo eroe americano, idolo morale e popolare
Il senatore astronauta reso immortale da Tom Wolfe
New York. Tom Wolfe aveva definito anzitempo John Glenn “l’ultimo eroe nazionale che l’America abbia prodotto” e in quel momento, correva l’anno 1979, la carriera politica dell’astronauta e pilota non era che agli albori e l’icona dell’esploratore spaziale della terza età doveva ancora essere dipinta. Glenn, morto giovedì all’età di 95 anni, aveva già compiuto ciò che caratterizzava il suo eroismo americano. Aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale, poi in Corea, era andato nello spazio e aveva passeggiato sull’orbita terrestre con il suo gruppo di pionieri dei silenzi siderali, era diventato un attivista contro la proliferazione nucleare e si era affermato come “role model” nelle case degli americani suburbani del Midwest, aveva insomma servito la patria con dedizione enorme, che è una condizione necessaria ma non sufficiente per diventare un eroe americano. Occorre un certo particolare modo di gettarsi nell’agone delle cose umane per meritarsi un appellativo che Wolfe non distribuiva con leggerezza, e che Glenn ce l’avesse si capiva anche dalla postura cristiana e protestante con cui affrontava ogni cosa, dal Senato allo spazio interstellare. Era diventato una specie di Gagarin rovesciato. I cosmonauti sovietici tornavano dalle missioni annunciando al popolo trionfante di non aver trovato Dio, lui diceva: “Guardare a questa creazione da qui e non credere in Dio per me è impossibile”. Glenn era un eroe americano in quanto leader morale e all’occorrenza pure moralista. In “The Right Stuff” è rappresentato come uno “zelante moralizzatore” in contrasto con i suoi compagni festaioli e leggeri che bighellonano fin troppo.
Lui è l’incarnazione della compostezza, del senso di responsabilità, un monumento di morigeratezza eretto in un’ambientazione fin troppo liberale. Il prototipo dello “small town American” diventato eroe entra nel registro dell’epica nazionale anche affiliandosi alla corte di Camelot, con i Kennedy, che erano di pasta irlandese del Massachusetts e zelanti moralizzatori non sono mai stati, che lo prendono volentieri sotto la loro ala, forse perché rappresenta tutto quello che loro non possono rappresentare. In politica è stato un solidissimo senatore dello swing state per eccellenza, l’Ohio, e quando ha provato a fare il grande salto verso la Casa Bianca è andata peggio dell’Apollo 13, ché l’eroe morale americano fatica a trovare connessioni emotive con il pubblico. Il coinvolgente va per lo più a spasso con l’imperfetto, e Glenn era forse troppo perfetto per la presidenza. Come ha detto Dave Barry, “non sarebbe riuscito a elettrizzare un acquario nemmeno se ci avesse lanciato dentro un tostapane”, e la breve campagna del 1984 contro un Reagan lanciato a tutta velocità verso la rielezione ne è stata la dimostrazione sul campo. Aveva almeno l’ironia necessaria per non essere sopraffatto dal fallimento: “A parte riempirmi di debiti, umiliare la mia famiglia e ingrassare di dieci chili correre per la presidenza è stata una bella esperienza”. Con Glenn se ne va anche il modello dell’eroe americano multiforme e duttile, che coniuga l’aspetto pratico alla teoria, il senso della frontiera e la gestione degli affari ordinari.
Il coraggioso pioniere che si tramuta in architetto e ingegnere della propria fortuna, trasmettendola al popolo, è un ancestrale topos americano che ha avuto le incarnazioni più diverse, da Teddy Roosevelt, presidente-esploratore, al presidente-attore Ronald Reagan passando per la lunga teoria dei presidenti-generali, personaggi in grado di solleticare il lato morale e quello popolare della sensibilità americana. Il presidente-reality show è l’ultima frontiera del politico a tutto tondo. Avrebbe voluto essere un presidente-astronauta, Glenn, e forse non esserlo mai diventato ha cristallizzato per sempre il suo attributo eroico concesso da Wolfe. Si è accontentato del ruolo di senatore con un passato avventuroso e un presente ancora elettrizzante, nonostante la noia dei discorsi, ché quando ha ripreso la via dello spazio a 77 anni suonati è stato un momento di inaudita potenza mediatica a livello globale. Su quello shuttle insieme a lui c’era tutta l’America normale, quella che non avrebbe mai visto la Casa Bianca né la Nasa, ma quel giorno aveva l’occasione di vivere, tramite il suo eroe, qualcosa di grande.
I conservatori inglesi