Il premier giapponese Shinzo Abe (foto LaPresse)

I simboli e la Storia che non passa

Redazione

Abe a Pearl Harbor è un atto politico in funzione anticinese, niente di più

La visita del premier Shinzo Abe accompagnato dal presidente uscente Barack Obama a Pearl Harbor – il luogo in cui i giapponesi attaccarono gli americani nel 1941, provocando più di 1.100 morti e determinando l’entrata nella Seconda guerra mondiale di Washington – è un’operazione di cosmesi mediatica  più che una riconciliazione tra Washington e Tokyo. America e Giappone non sono mai stati più vicini, e il fatto che Shinzo Abe abbia voluto farsi fotografare insieme con Barack Obama – che ad agosto aveva accompagnato a Hiroshima – riduce l’evento definito “storico” a una mossa politica da usare in funzione anticinese, a un cordiale scambio di favori tra il leader del mondo libero in procinto di lasciare la Casa Bianca e l’unico premier giapponese dell’ultima decade che può permettersi di metter piede a Pearl Harbor. Abe non è il primo leader nipponico a visitare lo Uss Arizona Memorial, come molta stampa internazionale aveva scritto: nell’agosto del 1951 il primo ministro Shigeru Yoshida passò per le Hawaii. Ma Abe è il primo conservatore ad accettare l’invito in uno dei luoghi più controversi della storia giapponese con una strategia da maestro: coprendo gli occhi ai falchi nazionalisti e rassicurando l’opinione pubblica nazionalista con un discorso senza scuse formali.

 

D’altra parte, il 7 dicembre scorso alla commemorazione dell’attacco di Pearl Harbor l’ospite d’onore era l’ammiraglio Harry Harris Jr., comandante del United States Pacific Command, americano cresciuto in Tennessee di origini giapponesi, nato nella prefettura di Kanagawa. Se i simboli contano, un americano di origini giapponesi a capo delle Forze armate statunitensi di stanza nel Pacifico è già un messaggio sufficiente di evoluzione della Storia. “Se Abe avesse voluto davvero fare un esame di coscienza per la storia bellicosa del paese, allora la sua prima destinazione avrebbe dovuto essere Nanchino, in Cina, o altri paesi del sud-est asiatico, non Pearl Harbor”, ha scritto ieri sul quotidiano cinese in lingua inglese Global Times Atsushi Koketsu, storico dell’Università di Yamaguchi. Per quanto si sforzi l’occidente, in Asia la Seconda guerra mondiale non avrà mai fine.

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