In un carcere del Brasile sono morte oltre 50 persone in uno scontro tra bande
Tutto è iniziato dalla guerra tra due gang legate al traffico di droga. La strage riporta l'attenzione su un problema ben noto nel paese, quarto al mondo per numero di detenuti
Oltre cinquanta persone sono morte in seguito alla rivolta scoppiata nel carcere brasiliano Anisio Jobim, vicino a Manaus, nel cuore dell'Amazzonia. Gli scontri sono iniziati nella giornata di ieri, e ci sono volute dodici ore - oltre all'intervento delle squadre antisommossa - per riportare la calma. Il quotidiano O Globo riferisce dettagli inquietanti: detenuti decapitati e lanciati oltre il perimetro della prigione, persone bruciate vive, cadaveri ammucchiati in dei carrelli abbandonati nei corridoi, agenti presi in ostaggio.
Secondo il segretario alla Sicurezza dello stato dell'Amazzonia, Sergio Fontes, alla base del massacro c'è la guerra tra due gang legate al traffico di droga, il gruppo criminale locale Familia do Norte e il Primeiro Comando da Capital, considerato in Brasile una vera e propria organizzazione terroristica. Stando a quanto riportano alcuni media locali, diversi detenuti avrebbero approfittato della situazione per evadere, ma questo dettaglio non è stata confermato dalle autorità.
L'ecatombe di ieri riporta all'attenzione generale un problema che ha radici profonde in Brasile, quarto paese al mondo per numero di detenuti secondo i dati del 2013. Il sovraffollamento delle carceri, dove i prigionieri vivono in "condizioni disumane", è dovuto alla guerra dichiarata dalle autorità ai cartelli della droga che ha portato all'arresto di diversi giovani ed emarginati. La rivolta carceraria di Manaus è tra le più violente della storia in Brasile, ma oltre vent'anni fa il bilancio dei morti fu peggiore: nell'ottobre del 1992, la polizia uccise 111 detenuti per riprendere possesso del penitenziario di Carandiru, nello stato di San Paolo.