Manenti, spia e negoziatore
Il capo dei servizi segreti esterni si occupa di trattative in Libia e in Siria
Prima l’intervista al generale libico Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, che cinque giorni fa ha detto a Lorenzo Cremonesi del Corriere: “Il numero due della vostra intelligence è un mio caro amico, viene spesso a trovarmi e ne abbiamo parlato più volte” [della missione sanitaria/militare italiana a Misurata, ndr]. Poi, ieri, il sito Maghreb Confidential, che dice che Haftar sta tessendo rapporti più stretti con l’Italia e in questo si fa aiutare dal capo dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Alberto Manenti. L’Italia in Libia è impegnata in un triangolo: incontriamo alla luce del sole il governo di Fayez al Serraj a Tripoli e trattiamo sottobanco con Haftar a Bengasi.
Serraj ci è rimasto come lascito del mondo pre-2016, quando il governo Renzi assieme con l’Amministrazione Obama ha provato a far funzionare un piano di riconciliazione libica che ruotava attorno alla figura ora sempre più debole di Serraj. I negoziati discreti con Haftar sono invece una necessità del mondo post-2016, perché Haftar intanto ha ripudiato il piano di riconciliazione ed è sponsorizzato dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e da quello russo Vladimir Putin. A occuparsene sono il ministro dell’Interno Marco Minniti – dal lato di Tripoli, dove sarà lunedì – e Manenti, entrambi fino a poco tempo fa occupati nello stesso settore, sicurezza e intelligence. A luglio Manenti era volato a Damasco – in una missione mai confermata da fonti ufficiali – per negoziare con un altro uomo forte arabo, anche quello sponsorizzato da Putin, il presidente siriano Bashar el Assad. Manenti sta diventando uno specialista nel trattare con parti con cui in un mondo migliore non dovremmo trattare.
L'editoriale dell'elefantino