Ecco come si batte il populismo
L’eccezione spagnola e la necessità di crescita e riforme economiche
Nel panorama europeo degli ultimi anni la Spagna rappresenta un’eccezione e un unicum. Non solo per la sua crescita economica sorprendente, o per l’ancor più sorprendente tenuta del suo governo di minoranza presieduto dal conservatore Mariano Rajoy, ma anche perché, nell’epoca buia del ritorno del populismo in Europa, Madrid ne è rimasta in gran parte esente. All’estrema sinistra, certo, c’è Podemos, ma anche il partito di Pablo Iglesias, pur con tutto il suo carico di populismo invadente e pericoloso, non condivide con i movimenti europei di estrema destra quelle caratteristiche di nazionalismo, xenofobia e antieuropeismo che stanno spaccando l’Unione europea e la politica tradizionale.
La questione incuriosisce i politologi da diversi anni: perché la Spagna è l’unico grande paese d’Europa a non avere un vero movimento populista di destra? Sul Financial Times di ieri, Tobias Buck ha dedicato una pagina intera alla questione, sentendo esperti e producendo un’analisi sociologica e politologica raffinata. Tra le ragioni ci sono l’eredità ancora sentita del franchismo, la capacità del Partito popolare di tenere dentro di sé tutto il campo della destra, lo scarso flusso di immigrati, un welfare che non consente di generare una guerra tra poveri. Tutto giusto, ma non del tutto convincente. Molte delle circostanze citate dal Ft sono simili a quelle italiane, dove però il populismo di destra prospera – nel M5s e non solo. Pensiamo allora alla principale differenza tra i due paesi, che si riassume tutta in un numero: 3,3 per cento, che è la crescita dell’economia spagnola nel 2016 (sarà intorno al 2,5 nel 2017). Fuori dalle analisi sociologiche, a occhio nudo la ricetta sembra semplice, e la conosciamo tutti: per togliere ossigeno al populismo, l’unico modo sono le riforme e la crescita.