Manifestazione di Amnesty International per la Siria a Torino (foto LaPresse)

I macelli nelle carceri di Assad

Redazione

A che livello di brutalità sui civili la realpolitik si fa due domande?

Amnesty International ha interrogato 84 siriani che lavoravano al carcere speciale di Sednaya, vicino Damasco, e ha scritto un rapporto su quello che succede lì dentro. Parlano guardiani, testimoni diretti e giudici militari che poi sono fuggiti – il rapporto scritto con le loro deposizioni si ferma al 2015, ma è facile pensare che le cose continuino nello stesso modo anche oggi. Ogni lunedì un tribunale speciale condannava una cinquantina di prigionieri politici, oppositori del regime del presidente Bashar el Assad, li faceva impiccare in un’ala del carcere e ne disponeva la sepoltura anonima in un paio di terreni militari a sud della capitale. Senza mettere video su internet, come fa l’Isis. Il numero degli impiccati è difficile da stabilire, ma potrebbe arrivare a tredicimila, e si tratta di un caso diverso da quello degli undicimila uccisi e torturati nelle carceri siriane e documentati da un fotografo del regime poi scappato (nome in codice Caesar).  Gli ordini erano firmati dal ministro della Difesa – è difficile dire quindi che il governo di Assad non sia a conoscenza –  e ai famigliari arrivava una nota che parlava di decesso per problemi medici. Un paio di domande per i sostenitori di Assad. Il regime è brutale con gli oppositori, cosa accadrà in caso di “riconciliazione nazionale”, vale a dire se finisse la guerra e Damasco riguadagnasse il controllo sul paese? C’è da considerare che il potere assadista era già paranoico prima, in condizioni normali, cosa succederà da ora in poi? Seconda domanda: a che livello di brutalità sui civili Assad diventa una figura troppo tossica anche considerando materie delicate come la “stabilità” (quale?) in medio oriente e la protezione delle minoranze religiose?

Di più su questi argomenti: