Una Commissione politica sfascia l'Ue
La clemenza per l’Italia (e non solo) autorizza al “liberi tutti”
La Commissione europea ieri ha inviato un doppio ultimatum affinché il governo italiano approvi una manovra correttiva e riaccenda il motore delle riforme entro metà aprile. Ma la notizia è che l’Italia ieri è stata graziata un’altra volta. La procedura sul debito sarebbe dovuta scattare subito, visto lo scarto di 2 punti di pil rispetto agli obiettivi di bilancio 2016 e 2017. Al quarto monitoraggio in quattro anni sugli squilibri macro-economici, i problemi di debito e produttività sono sempre identici. Le tenerezza con cui Bruxelles tratta l’Italia è giustificata da ragioni politiche: la volontà di aiutare Matteo Renzi, la necessità di non disarcionare Paolo Gentiloni e la preoccupazione per il populismo prevalgono su una sana politica fiscale. Ma la Commissione politica, come il presidente Jean-Claude Juncker ama definirla, ha un prezzo: se si è clementi con l’Italia su una questione chiave come il Patto di stabilità, allora si deve essere clementi con tutti su tutto il resto. Niente procedura contro l’Ungheria che non partecipa alla relocation dei migranti. Niente richiamo alla Germania sui pedaggi autostradali che discriminano i non tedeschi. Niente deferimento della Francia che vieta Uber. Un’elezione locale o nazionale non manca mai e così si consente a Parigi di restare con un deficit sopra il 3 per cento ad libitum o a Berlino di proteggere ferrovie e aeroporti. Chi ci rimette sono contribuenti, consumatori, imprese, cioè quei cittadini in rivolta contro l’Europa. Prima che la disgregazione si compia, la Commissione dovrebbe tornare a fare rispettare le regole, dimenticando la politica, e ad assecondare il mercato in regime di reale concorrenza.