La promessa infranta di Londra
Nel Budget c’è fiducia sulla Brexit ma anche una tassa che fa discutere
Mercoledì Philip Hammond, cancelliere dello Scacchiere inglese, ha presentato il Budget di primavera, mentre attorno a lui tutti parlavano soltanto dei Lord, i primi a fare opposizione ai piani del governo inglese sulla Brexit. Hammond invece ha parlato poco di Brexit, ha detto che ci sono dei fondi predisposti per affrontare eventuali effetti negativi del divorzio dall’Unione europea, ma pensa che non ci sarà bisogno di usarli, anche se le previsioni di crescita per il prossimo biennio sono state riviste al ribasso. Benché Hammond sia considerato uno dei più scettici nel governo di Theresa May sulle potenzialità dell’“hard Brexit”, non ci sono state frizioni pubbliche sul tema.
Le polemiche mercoledì in serata non avevano più molto a che fare con l’uscita dall’Ue – fatta eccezione per Nigel Farage, scatenatissimo contro i Lord: facciamolo un secondo referendum, diceva mercoledì, ma per abolire questa Camera inutile – quanto piuttosto sulla proposta di Hammond di alzare le tasse ai “self employed”, i tassisti, i proprietari di piccoli negozi, gli idraulici, che è stata vissuta come un tradimento del manifesto conservatore del 2015, che portò alla vittoria delle elezioni. Subito l’Ukip è intervenuto per sottolineare che il governo non si occupa dei piccoli imprenditori, ha a cuore solo il big business: sarebbe una polemica naturalmente laburista, ma come spesso accade da ultimo il Labour non se n’è occupato, prediligendo altre critiche. I conservatori liberali si sono infuriati, e anche i custodi della retorica dei dimenticati non erano contenti. Per non parlare di Brexit si rischia di scostarsi un pochino dalla propria identità.