La malattia dell'Ue è la sovranità
Nessun paese accetta lezioni. Il gioco comunitario è a somma zero
La malattia di cui soffrono i leader dell’Unione europea è la sovranità e, fino a quando non guariranno, l’Europa potrà al meglio vivacchiare, al peggio agonizzare. Lo dimostrano le trattative tra i 27 sulla dichiarazione sul futuro dell’Europa che dovrebbe essere adottata nel vertice di sabato a Roma. Il premier greco, Alexis Tsipras, ha preso in ostaggio i festeggiamenti per i sessant’anni del Trattato, perché pretende che l’Unione europea scarichi il Fondo monetario internazionale che chiede a Atene riforme serie su lavoro e pensioni. La premier polacca, Beata Szydlo, ha fatto altrettanto perché il suo padre-padrone Lech Kaczynski non sopporta l’idea della riconferma del suo rivale Donald Tusk alla presidenza del Consiglio europeo senza il suo assenso. I paesi scandinavi si sono opposti all’Europa sociale per il timore di un livellamento verso il basso dei loro standard, e così hanno fatto i paesi dell’est che temono di perdere competitività. I quattro di Visegrad hanno detto “no” all’Europa a più velocità promossa dai quattro grandi. Ma, a loro volta, Germania, Francia, Italia e Spagna non sono per nulla d’accordo su cosa fare a velocità diverse su euro, immigrazione, difesa o sociale.
L’episodio Dijsselbloem è illuminante: i paesi del sud chiedono un ministro delle Finanze della zona euro, ma non sono pronti ad accettare critiche, figurarsi direttive, sul modo in cui gestiscono i bilanci nazionali. Il gioco comunitario ormai è vissuto a somma zero dai leader. E non è l’annacquata dichiarazione di Roma che cambierà le cose. La lezione degli ultimi sessant’anni è che un piccolo sacrificio di sovranità da parte di tutti può portare un grande vantaggio per ciascuno. Lo hanno capito le migliaia di persone che manifesteranno sabato per difendere l’Europa così com'è, anche piena di difetti. E’ a loro che occorre affidare i prossimi sessant’anni.