Il caso Amri dimostra la necessità di una Guantanamo europea
Nove mesi prima della strage di Berlino, la polizia tedesca sapeva che il tunisino era un kamikaze pronto ad attaccare. Ma la magistratura tedesca ne ha impedito l’espulsione. La burocrazia suicida e l'urgenza di un diritto speciale
Nove mesi prima che Anis Amri portasse a termine la strage al mercatino di Natale a Berlino, dove hanno perso la vita 12 persone, le forze di sicurezza tedesche avevano espresso timori sulla possibilità che commettesse un attentato suicida. Il giornale domenicale Bild am Sonntag precisa che lo scorso marzo la polizia criminale degli stati (Landeskriminalamt, Lka) del Nord-Reno Westfalia aveva allertato il ministero dell'Interno dello stesso land dell'esistenza di prove concrete del fatto che il tunisino stesse pianificando un attacco kamikaze e ne raccomandava l’espulsione. Ma il governo locale aveva stabilito che l’ordine di espulsione non era legalmente praticabile.
Bild am Sonntag ha pubblicato estratti da una nota di otto pagine in cui l'ufficio di Uwe Jacob, capo della Lka del Nord-Reno Westfalia, dettagliava le prove a carico di Amri, inclusa l’intercettazione di una chat in cui il tunisino diceva di voler sposare una "sorella" in Germania, un codice tra jihadisti noto all’intelligence che starebbe a significare la sua decisione di compiere un attentato. Amri avrebbe poi usato il termine "Dougma", un altro codice per gli attacchi suicidi. La nota della polizia suggerisce l’immediata deportazione del sospettato, considerata "proporzionata" al pericolo. Ma la domanda di asilo in Germania di Amri era ancora in fase di esame e le autorità locali hanno stabilito che non poteva essere espulso. La sua richiesta era stata già rifiutata in giugno, ma anche allora i tentativi di espellerlo erano falliti perché il giovane non aveva documenti d’identità validi e la Tunisia rifiutava di riconoscerne la nazionalità. Un nuovo documento che avrebbe reso possibile la sua espulsione è arrivato due giorni dopo l'attacco.
Le nuove informazioni si aggiungono alle domande sul perché ad Amri fu permesso rimanere in Germania e muoversi liberamente in tutto il paese, anche se era noto che fosse una minaccia. Si riapre la questione sollevata dal fondatore di questo quotidiano all’indomani dell’attentato al mercatino natalizio della Gedächtniskirche Kirke: la possibilità per gli stati europei di intervenire all’interno di un “diritto speciale” nel caso del terrorismo e la necessità, sempre più palese, di una qualche sorta di “Guantanamo europea”.
“Tutta la sua storia”, scriveva Giuliano Ferrara “l’itinerario che ha percorso da migrante a stragista attraverso carceri, violenza, predicazione, marginalità sociale, reclutamento, dimostra che Amri doveva essere fermato da un diritto e nel quadro di una soluzione speciale di sicurezza”. E anche se “il carcere speciale di Guantanamo Bay è uno spettro per chi considera lo stato di diritto un assoluto morale, senza se e senza ma”, Ferrara si domanda se il fanatismo jihadista, “l’esercito dei combattenti fuori di ogni legalità bellica e dei lupi solitari cosiddetti possa essere contrastato, in nome del binomio diritto e sicurezza, con mezzi ordinari del sistema giudiziario e repressivo in vigore”. “Bisogna freddamente riconoscere, senza alcun fanatismo, che i tempi sono maturi per una Guantanamo europea”.