Rex Tillerson e Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Le "scelte difficili" di Tillerson

Redazione

Il segretario di stato americano alla prova del riottoso presidente Erdogan

Il segretario di stato americano, Rex Tillerson, ha iniziato oggi quello che probabilmente è il viaggio diplomatico più complesso della sua carriera finora. Il compito di Tillerson è trovare la quadra con un alleato tanto cruciale quanto inquieto, la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, in un momento in cui il referendum costituzionale per dare al paese un assetto costituzionale presidenziale – e, secondo i critici, più autoritario – ha portato la tensione politica ai massimi livelli.

 

La Turchia presenta all’America tante richieste apparentemente irricevibili quante sono le sue possibilità di ricatto, ed è dunque ad Ankara che Tillerson deve dispiegare la decantata “art of the deal” della sua Amministrazione. Il problema più urgente è quello della guerra siriana, dove Washington e Ankara si trovano sullo stesso fronte e collaborano attivamente nella guerra contro l’Isis, ma la Turchia non può sopportare il sostegno dell’America alle milizie dell’Ypg curdo, che per i turchi sono un gruppo terroristico ma al fianco degli americani si sono dimostrati i nostri migliori “boots on the ground”.

 

Se Tillerson non ha fatto – e non farà – parola sul restringimento dei diritti in Turchia, un altro tema che divide i due alleati è quello del futuro di Fethullah Gülen, chierico-imprenditore autoesiliatosi in Pennsylvania e considerato da Erdogan il mandante del colpo di stato fallito dell’anno scorso. I turchi chiedono la sua estradizione da tempo, l’America finora ha sempre nicchiato, ma la pressione si è fatta progressivamente più forte. Lo scontento nei confronti dell’America sta gettando la Turchia, bastione a est della Nato, in una spirale di autoritarismo, e trascina il paese più vicino alla sfera di influenza della potenza russa. Ci sono “scelte difficili” da fare, ha detto Tillerson, forse troppo.