Se un presidente finisce in galera
Il sogno grillino e il dolore della Corea del sud, ingannata e mazziata
La prima donna presidente della Corea del sud, la grande icona del conservatorismo gentile, con le fattezze di una donna minuta e forte, si è trasformata in un incubo per il Partito Saenuri del suo paese. A meno di un mese dalla sua deposizione dopo un processo d’impeachment, venerdì Park Geun-hye si è presentata alle 10 e 20 del mattino presso la Corte distrettuale centrale di Seul, ed è uscita dopo quasi nove ore. I giudici, dopo averla ascoltata, si sono riuniti per altre otto ore, e hanno deciso di arrestarla in attesa di giudizio, per pericolo di fuga e di inquinamento delle prove. Park è accusata di corruzione, abuso di potere e rivelazione di segreto di stato. La sua confidente, Choi Soon-sil, l’anima nera di questo processo del secolo che ha fatto finire dietro le sbarre anche il de facto leader di Samsung Lee Jae-yong, è già in carcere in attesa di giudizio.
Quello che è accaduto in Corea del sud dall’ottobre scorso a oggi è una specie di sogno a occhi aperti grillino, con un capo di stato accusato e finito in una cella di sei metri quadri e una tuta verde acqua, come qualunque altro arrestato. Ma a ben guardare, le cose sono molto più complicate di così: la società civile coreana è riuscita a fermare un sistema di corruzione talmente consolidato che pare imparagonabile a quello italiano. E non è stato poi così facile, visto che negli ultimi sei mesi, sotto la costante minaccia nordcoreana, la Corea del sud ha dovuto concentrarsi soltanto sui suoi problemi interni. Chi diventerà presidente, dopo le elezioni del 9 maggio, sa che dovrà in ogni caso rimettere in piedi una nazione intera.