Scegliersi i testimoni
L’offerta del generale Flynn di deporre sul caso Trump-Russia è sospetta
Il generale Flynn ha una storia da raccontare, e la vorrebbe raccontare, qualora le circostanze lo permettessero”, hanno scritto gli avvocati dell’ex consigliere per la Sicurezza nazionale alle commissioni di Camera e Senato che indagano sulle relazioni fra la campagna di Donald Trump e il Cremlino. Flynn, che nel tormentone russo è l’invischiato in chief, vuole parlare in cambio dell’immunità, s’intende, ma la fanfara con cui sta offrendo collaborazione agli inquirenti suggerisce che la storia che ha da raccontare non è quella decisiva. Di norma chi ha una pistola fumante e chiede protezione legale per mostrarla prende contatti in segreto con i procuratori e avvia un negoziato sui contenuti da rivelare (in fondo si tratta di convincere chi indaga che sei meglio come testimone che come imputato), mentre chi passa subito la comunicazione ai giornali forse ha altre priorità.
Qualcuno dei membri della commissione potrebbe pensare che portarlo a un’interrogazione sotto giuramento valga comunque la concessione dell’immunità, mentre tutto dice che gli avvocati del generale che andava a cena con Putin e dava consigli al Cremlino tramite il ciarliero ambasciatore russo sono convinti che Flynn può uscire indenne dalle forche caudine del Congresso. Ora che il Senato ha preso la guida dell’inchiesta, dopo i pasticci della commissione della Camera guidata dal volatile Devin Nunes, l’iter per un’inchiesta seria e indipendente dovrebbe essere più agevole, ma chi indaga deve cautelarsi tanto da chi dice di non saperne nulla, quanto da chi giura di avere una grande storia da raccontare, intanto datemi l’immunità.