
Proteste a Caracas, Venezuela (foto LaPresse)
Chi tace davanti alla tragedia del Venezuela
Ventiquattro morti in venti giorni, ma c’è chi ancora vede nel regime un modello
Con i due manifestanti rimasti uccisi e i sette feriti di ieri, il numero dei morti delle proteste contro il regime venezuelano di Nicolás Maduro è arrivato a ventiquattro, oltre a centinaia di feriti in poco più di venti giorni – in prospettiva molti di più di quelli dell’ultima grande ondata di proteste contro il governo nel 2014. Da quasi un mese le strade di Caracas e di decine di altre città venezuelane si riempiono quotidianamente di persone che chiedono due cose: nuove elezioni democratiche e l’allentamento della morsa economica che ha portato l’inflazione a superare ormai il 500 per cento. Le risposte del governo sono: repressione e ancora repressione.
Così in Venezuela la crisi politica e la crisi umanitaria diventano una cosa sola. In questi giorni un regime fallito e al capolinea conserva il potere usando violenza sui suoi cittadini. Una situazione tragica e pericolosa, ma sono pochi in occidente a parlarne. Davanti al disastro venezuelano, certi ambienti della politica e dei media occidentali, di solito pronti ad alzare il dito, oggi tacciono. Anche davanti alle violenze e ai saccheggi nei supermercati, prova ormai inconfutabile che il progetto chavista di una repubblica socialista fondata sul petrolio non solo è fallito, ma non ha mai funzionato. Dagli spagnoli di Podemos fino a certi ambienti della sinistra italiana, quelli che pochi anni fa vedevano in Hugo Chávez l’eroe del popolo venezuelano, oggi sono muti quando il suo successore, Maduro, pesta e umilia quello stesso popolo. Alcuni perfino continuano a difenderlo. C’è ancora tempo per cambiare idea ed evitare di appoggiare un governo autoritario al collasso, in una tragedia che ogni giorno diventa più grave.


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