Sabrata, un anno dopo
Notizie sospette dalla città libica dove furono rapiti quattro tecnici italiani
Ricordate la vicenda dei quattro tecnici italiani rapiti sulla costa della Libia nell’estate 2015? Si concluse nel marzo dell’anno scorso con la morte di due, Salvatore Failla e Fausto Piano, e la liberazione di altri due nella placida cittadina di Sabrata (centomila abitanti) – che non è mai stata coinvolta nei combattimenti furiosi che invece hanno insanguinato altre zone del paese africano. Due settimane prima di quell’epilogo amaro, un bombardamento americano a sorpresa contro una villetta aveva fatto saltare il coperchio del verminaio in città: quella era una base affollata da combattenti dello Stato islamico, che la usavano con discrezione anche per il viavai fino alla vicina Tunisia. A Tripoli intanto un prigioniero interrogato dalla sicurezza confessava che a Sabrata c’era anche un gruppo di sequestratori dello Stato islamico, dedito ai rapimenti di stranieri, guidato da un capo locale: Abu Maria al Dabbashi (il clan più potente lì è infatti quello dei Dabbashi). Sabrata era insomma infestata di terroristi, ma la cosa sembrava sfuggire all’attenzione delle autorità locali. I due italiani superstiti furono restituiti – dopo qualche lungaggine di troppo – e in città si scatenò una campagna anti Isis di qualche giorno. Giornalisti andarono, scrissero e tornarono. Ora, domenica sera una milizia ha ucciso a Sabrata proprio Abu Maria al Dabbashi, in macchina con un paio di tunisini. Era lui il capo dei rapitori, anche degli italiani? Come mai è morto nella città da dove in teoria sarebbe dovuto fuggire? La Libia è ambigua per definizione e c’è da comprendere le complessità locali, ma a volte questa ambiguità eccede.