La guerra atomica può attendere
Due notiziole, da Pyongyang e da Washington, quasi concilianti
Di fronte al continuo aumentare di minacce e show di forza, da parte sia dell’America di Donald Trump sia del regime nordcoreano guidato da Kim Jong-un, sarebbe cosa utile sottolineare anche quelle notizie che sono meno strillate, ma non meno importanti. Del resto, mentre l’asticella della tensione aumenta in attesa di un possibile test (missilistico o nucleare) da parte di Pyongyang – per via dell’imprevedibile risposta di Washington – è di oggi la notizia che per la prima volta nella storia la Corea del nord ha accettato la visita di un funzionario dell’Alto commissariato sui diritti umani delle Nazioni Unite. Sarà Catalina Devandas-Aguilar a visitare il nord della penisola coreana tra il 3 e l’8 maggio prossimi. Ufficialmente, il viaggio riguarda la Convenzione dei diritti umani delle persone con disabilità, ratificata dalla Corea del nord nel dicembre del 2016. Ma il messaggio – accettare la visita di un funzionario dell’Onu – non è così scontato da parte nordcoreana.
Qualcosa, nelle comunicazioni tra Pyongyang e il resto del mondo, si sta muovendo. Non è un caso se la famosa riunione a porte chiuse che si è tenuta l’altro ieri alla Casa Bianca, alla presenza di tutti i cento senatori del Campidoglio e del presidente Trump, non sia finita con la decisione di un first strike alla Capitan America. O meglio, con un comunicato congiunto il segretario di stato Rex Tillerson, il segretario alla Difesa James Mattis e il direttore dell’Intelligence Dan Coats hanno detto che il presidente ha intenzione di fermare la minaccia nordcoreana, ma che “tutti i negoziati sono aperti”, soprattutto con “i nostri alleati”. Come dire: per la guerra atomica c’è ancora tempo.