Trump arriva in Israele: i dubbi di Netanyahu sulla svolta obamiana di The Donald
Il presidente americano, nella seconda tappa del suo viaggio, parla di "pace e stabilità" nella regione. Ma il governo israeliano teme le ultime dichiarazioni della Casa Bianca sulla soluzione a due stati
Donald Trump è arrivato in Israele, seconda tappa del suo lungo viaggio tra medio oriente ed Europa, ed è stato accolto all'aeroporto di Tel Aviv dal presidente Reuben Rivlin. Dopo avere visitato l'Arabia Saudita, Trump ha dichiarato che esistono nuove ragioni per sperare in un accordo di pace per la stabilità del medio oriente e ha mandato nuovi messaggi contro l'Iran. Nel giro di 28 ore, Trump incontrerà il primo ministro Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen in due incontri separati. Lunedì pomeriggio pregherà al Muro occidentale, il luogo sacro della religione ebraica e visiterà la Chiesa del Santo sepolcro di Gerusalemme. Domani è in programma una tappa a Betlemme, per poi ripartire alla volta di Roma, per incontrare il Papa.
"Davanti a noi abbiamo l'opportunità rara di portare sicurezza, pace e stabilità nella regione e al suo popolo, sconfiggendo il terrorismo e creando armonia, prosperità e pace. Ma per farlo dobbiamo lavorare uniti. Non c'è altro modo", ha detto Trump appena sbarcato in Israele. Il premier israeliano Netanyahu ha detto di condividere l'impegno del presidente americano per la pace: "Spero che la sua prima visita nella regione sia una pietra miliare nel cammino verso la pace e la riconciliazione", ha detto Netanyahu, che tuttavia ha anche ribadito la richiesta fatta ai palestinesi di riconoscere la confessione ebraica dello stato di Israele. Il segretario di stato americano, Rex Tillerson, ha chiarito che un eventuale incontro trilaterale tra Trump, Netanyahu e Abu Mazen avrà luogo "un domani", senza dare ulteriori dettagli.
Il presidente americano ha più volte affermato di volere mediare tra israeliani e palestinesi, senza però chiarire in che modo intenda raggiungere un compromesso, dopo che gli ultimi negoziati sono naufragati nel 2014. In un primo momento, in occasione dell'incontro avuto con Abu Mazen questo mese a Washington, Trump non aveva menzionato in modo esplicito la soluzione dei due stati – che invece ha contraddistinto l'approccio americano negli ultimi anni alla crisi israelo-palestinese. Ma quando, la settimana scorsa, il consigliere alla Sicurezza della Casa Bianca, generale McMaster, ha detto che Trump richiederà l'autodeterminazione dei palestinesi, la destra israeliana è stata messa in allarme. E anche la richiesta rivolta dalla Casa Bianca di "mettere a freno per un po' agli insediamenti" ha contribuito ad accrescere i sospetti.
Il mutuo riconoscimento di Israele e Palestina è considerato da Abu Mazen il punto di partenza di ogni ulteriore dialogo. Per questo, Trump ha deciso di prendere tempo prima di annunciare lo spostamento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, una mossa che rischierebbe di mettere in pericolo i negoziati. D'altra parte, Netanyahu ha incontrato diverse critiche da parte del suo governo per non avere insistito in modo più deciso sulla questione della sede diplomatica americana. McClatchy, un sito di informazione americano, ha titolato ieri un articolo così: "Israele teme che il cambiamento di Trump somigli troppo a quello di Obama".
Tra coloro che hanno accolto Trump con grandi aspettative nella regione ci sono gli arabi, convinti in particolare dalle parole dure usate dal presidente americano nei confronti dell'Iran sciita, considerato un nemico comune a tutti nella regione. "Non si deve concedere all'Iran di possedere la bomba nucleare", ha detto oggi Trump in Israele, aggiungendo che Teheran deve anche "interrompere il finanziamento, l'addestramento e l'equipaggiamento dei terroristi e delle milizie".
Per dimostrare la sua volontà di ricreare un clima adatto alla ripresa dei negoziati, Israele ha autorizzato alcune concessioni economiche nelle aree controllate dall'Autorità palestinese. Una mossa che se da una parte risponde alla richiesta americana di adottare "misure che costruiscano fiducia", dall'altra è stata accolta con freddezza dai palestinesi, che affermano di avere già ricevuto in passato molte promesse poi non mantenute da Netanyahu.
I conservatori inglesi